Teo ha sedici anni, vive la vita di tanti adolescenti e, come spesso accade, si sente incompreso e fuori posto. Dentro di lui si annida un impulso distruttore che a volte prende il sopravvento e non riesce a frenare. Teo lo chiama la Cosa come il mostro di IT, uno dei suoi libri preferiti.
Ma proprio in un momento difficile in cui più del solito si sente perso, la vita ha in serbo per lui un incontro speciale, di quelli che cambiano il corso delle esistenze.
Quel foglio protocollo inzaccherato di rabbia e zero virgole dove Teo dice di voler mollare la scuola non è arrivato così per caso, è stato la fedele trascrizione di un urlo trattenuto per troppi anni, è stato l’ultimo granello di sabbia di una clessidra capovolta molto tempo fa.
E la persona che incontra è una vecchia conoscenza di chi ha letto Eppure cadiamo felici, romanzo d’esordio di Enrico Galiano: il professore di filosofia (ora ex) Francesco Bove, che conduce Teo in un percorso di conoscenza di sé e del mondo.
Come già ci ha abituati, anche in Una vita non basta (Garzanti) Galiano racconta l’adolescenza nel suo modo unico e sempre credibile. Si percepisce quanto conosca i ragazzi, quanto li viva nel quotidiano, se ne interessi, cerchi di capirne e riprodurne i meccanismi interiori senza etichette, senza pregiudizi. Conosce il loro linguaggio, lo parla, lo fa suo. Ne passa al setaccio le emozioni, gli sbalzi d’umore, le paure. Per questo motivo, le sue pagine li fanno sentire accolti, ascoltati, capiti. Come uno specchio in cui riflettersi.
«Quando desideri tanto qualcosa, fai come il colibrì: non aver paura di cadere. Anzi, impara a farlo a tutta velocità, per poi risalire.» Questa volta, però, a Teo sembra impossibile risalire.
Ma a dirla tutta, chiunque può ritrovarsi in esse, anche chi l’adolescenza l’ha superata da tempo. Non solo perché ci sono personaggi adulti, delineati altrettanto bene, in cui immedesimarsi. Ma soprattutto perché certi pensieri, certe sensazioni che si vivono in quegli anni restano dentro, sottopelle, come forse non accade in tutto il resto della vita. E ricordarne l’essenza è un piacere agrodolce che ci fa volare lontano e risveglia in noi desideri che abbiamo lasciato sopire.
Se poi ci capita di essere genitori, magari proprio di adolescenti, è una lettura di sicuro successo. Quanti di noi si ritrovano davanti ai propri figli pensando di non capirli affatto per quanto ci si sforzi? Li guardiamo e li vediamo così fragili, silenziosi o chiassosi, apatici o compulsivi, tutti alla spasmodica ricerca di risposte su sé stessi e sul mondo sospinti da un vortice di ormoni ed emozioni. Ci sembrano estranei, alieni, mondi distanti che orbitano nel nostro stesso spazio senza poter mai riuscire ad afferrarli. E ci sentiamo persi, tanto quanto loro. Allora cerchiamo, ci affanniamo, perché da qualche parte dentro di noi lo sappiamo, sappiamo come ci si sente, quanta paura o rabbia si possa provare in quegli anni turbolenti, quanto bisogno si ha di essere accolti e accettati. E scaviamo per ritrovare quella voragine, a fatica colmata dalla vita trascorsa nel frattempo, ma non sempre riusciamo a spazzare via le sovrastrutture e a metterci nei loro panni.
Ecco, Galiano lo fa benissimo e ci indica la strada. La lettera che ad un certo punto Teo scrive a Stephen King – sì, proprio a lui, che sceglie inizialmente come improbabile destinatario delle sue ansie giovanili – è come se ci lanciasse indietro nel tempo, alle pagine di un diario che noi stessi avremmo potuto scrivere, masticando lacrime e patatine, sul letto sfatto dei nostri sedici anni. E così ci ritroviamo a ricordare, a capire meglio i ragazzi, ad aprirci ad un dialogo che è senz’altro possibile ma va guadagnato e costruito ogni giorno.
Quanti altri libri riescono a fare lo stesso con la medesima efficacia e strappandoci più di un sorriso?
Lei è un ragazzo che si sta facendo delle domande. E io lo so quanto può essere angosciante, specie alla sua età, non avere delle risposte, eccome se lo so! Ma so anche che quelle domande lì possono essere la sua salvezza! Se le tenga strette, non le abbandoni mai!
L’incontro con il Prof. Bove cambia la prospettiva da cui Teo guarda le cose e guarda sé stesso. Teo si sente visto, e capito. E apre il suo cuore ad un estraneo che in breve tempo diviene intimo confidente, amico, mentore.
Attraverso i dialoghi tra Teo e il Prof. Bove, a tratti commoventi, altri divertenti, Galiano dà voce a tante domande che affollano la mente degli adolescenti e li aiuta a trovare delle risposte, a capirsi un po’ di più, a volersi un po’ più bene, e a volerne a chi gli sta intorno. E ancora a trovare una bussola per orientarsi nel dedalo di possibilità della vita, a rallentare quell’incessante tumulto interiore, ma non per fermarlo bensì per riuscire a cavalcarlo, a domarlo ed indirizzarlo nella direzione giusta.
Per vivere appieno quell’età e le altre a venire, perché di cose da fare e possibilità ce ne sono talmente tante che una vita non basta. E bisogna farsi trovare vivi dalla morte.
Altro che le date di nascita e morte, è quel trattino in mezzo la cosa più importante di tutte! (…) La mia domanda è molto semplice, mio caro: vuole vivere davvero, o vuole che la sua vita sia solo un trattino fra due numeri?
Quanti di noi avrebbero (o avrebbero avuto) bisogno di un professore così nella propria vita? Siamo sicuri che i fortunati studenti di Galiano lo abbiano trovato e, grazie al cielo, anche i suoi lettori.
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