Nelle pagine finali di Uomini contro: La lunga marcia dell'antifemminismo in Italia, viene riportato l'esito di un recente sondaggio Istat, secondo cui il 78% delle vittime di violenze domestiche non si rivolge alle istituzioni per denunciare l'accaduto, spesso nella speranza di poter gestire la situazione in autonomia. Questo dato evidenzia un'allarmante diffidenza delle donne italiane nei confronti delle istituzioni, considerate un ostacolo o, più in generale, un interlocutore inaffidabile, molte volte schierato a garanzia del carnefice e di coloro che l'autrice definisce gli “uomini contro”.
Avevano militato fianco a fianco nei Gap partigiani, rischiato con loro la vita. Eppure, furono proprio i compagni i primi ad abbandonarle e a tradirle. Quando si ritrovarono a occupare una poltrona in Parlamento, gli uomini abbandonarono gli ideali di uguaglianza di genere e limitarono la presenza femminile in politica.
Il saggio di Mirella Serri edito da Longanesi affronta l'origine storica di questi ostacoli, concentrandosi, e qui risiede l’originalità del suo lavoro, su quelli che si sono presentati nel dopoguerra a Sinistra, dove sarebbe stato lecito attendersi un maggiore supporto da parte dei riformisti nel favorire l’emancipazione femminile. Per delineare al meglio le contraddizioni e le incoerenze dei progressisti, l'autrice ci propone la storia di alcune “cattive ragazze” di Sinistra che hanno lottato per i propri diritti e il loro posto in politica.
Le protagoniste di questo saggio, come si legge nelle pagine introduttive, sono spesso state etichettate come «ambiziose, eccessive e esagerate a causa delle loro caratteristiche personali e culturali». Ambizioni ritenute incoerenti con lo spirito naturalmente mansueto delle donne, una visione patriarcale figlia del fascismo, rimasta introiettata anche negli uomini di comprovata militanza progressista.
Il libro esplora la storia di queste donne, focalizzando l'attenzione principalmente sulla lunga marcia di Nilde Iotti e la sua difficile lotta per emergere all'interno del PCI, in un ambiente politico dominato da una classe dirigente maschile colpevole di ritrosie e pregiudizi che mai sarebbero emersi se l’oggetto delle loro valutazioni avesse riguardato un uomo.
Nilde Iotti ha affrontato ostacoli impensabili se pensiamo alla caratura della sua persona sia durante la Seconda Guerra Mondiale, quando incontrò resistenze perché desiderava unirsi ai partigiani, sia negli anni '50 e successivamente, quando cercava di affermarsi in politica e nel mondo del lavoro. L'ombra della sua relazione con Togliatti è stata la principale ragione della mancanza di credibilità attribuitale all'inizio della sua carriera, nonostante il notevole curriculum politico già la delineasse come qualcosa di più della semplice compagna di una figura di potere.
Per l’autrice, le tribolazioni di Nilde Iotti diventano quindi un paradigma della resistenza anti-femminista dell’immediato dopoguerra, un’occasione per studiare le radici italiane, ma anche internazionali, dell’ostilità verso le donne.
Molti capitoli sono dedicati alle dinamiche del patriarcato nelle dittature nazifasciste e staliniste, temi che, per quanto riguarda la sola realtà italiana, potete recuperare anche in Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radice fasciste del maschilismo italiano, il precedente saggio dell’autrice.
Oltre alla patente negazione delle pari opportunità, sul piano propagandistico nei regimi venivano esclusivamente promossi ritratti femminili di “vestali”, con donne subalterne e funzionali solo ai compiti dell'uomo “guerriero”, un’immagine che, a dispetto della connotazione retriva, ha continuato a prosperare e a costituire le fondamenta dell'opposizione all'emancipazione femminile anche nel dopoguerra.
A tal proposito, l’autrice studia l’influsso del pensiero di Evola nel mondo conservatore del secondo Novecento e il ruolo del consumismo nella reificazione del corpo della donna attraverso la televisione privata, due direttive che hanno preparato, a partire dagli anni ’90, un potente contrattacco delle forze conservatrici per ripristinare lo status quo precedente ai successi delle lotte femministe degli anni '70 in termini di diritti quali il divorzio o l’aborto.
L’autrice collega infine le pagine dedicate al contesto italiano al panorama più ampio delle lotte per i diritti delle donne nel resto del mondo, dalla Russia di Putin alle prese con “Femen”, fino all’Iran di Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace 2023.
In definitiva, il saggio di Mirella Serri non si propone come un attacco frontale al mondo maschile e si interroga invece sulla ragione storica degli inciampi e della refrattarietà di alcuni settori della Sinistra nell’abbracciare le lotte femministe, pur riconoscendo che non possono essere dimenticati gli sforzi dei padri e delle madri costituenti nell’elaborazione di una società antifascista che, pur tra molte contraddizioni, offre oggi una democrazia paritaria perfezionabile.
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