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Vite minuscole di Pierre Michon

Il titolo Vite minuscole (Adelphi) dice tutto. Sì, perché Michon riesce a creare dei quadri ben precisi, ricchi di particolari e rimandi, ma partendo da personaggi semplici e all’apparenza insignificanti.

Vite minuscole
Vite minuscole Di Pierre Michon;

"Vite minuscole" esce in Francia nel 1984. È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante. E audace: recuperando una tradizione che risale a Plutarco, a Svetonio, all'agiografia, Michon ci racconta le vite di dieci personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli: e dunque votati all'oblio

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È così che il narratore racconta di Duforneau, suo antenato partito per l’Africa in cerca di fortuna; oppure di Eugene e Clara, i nonni paterni, rimasti vicino al nipote nonostante loro figlio l’abbia abbandonato; i fratelli Bakroot, compagni di collegio; e ancora Claudette, Antoine Peluchet, il reverendo Bandy.

E raccontando la storia di ognuno di loro in realtà non fa altro che parlare della sua, di storia: tutti i personaggi, che sia per sentito dire, che sia per conoscenza diretta, che sia per parentela, hanno fatto parte della vita del narratore e sono diventati materiale per la sua scrittura. Una scrittura ricca, piena, che, più che tratteggiare dei ritratti, crea dei veri e propri quadri, di cui riesce a restituire l’atmosfera, di luoghi come la casa di Les Cards, Mourioux o l’ospedale psichiatrico di La Ceylette. Michon utilizza una lingua che impreziosisce e che innalza l’apparente semplicità delle storie che racconta.

Sono dei quadri che il narratore osserva sempre da lontano: sono storie come cristallizzate, appartenenti al passato, che, in un modo o nell’altro, risultano sempre oscurate da un velo di malinconia, come se si stesse osservando una fotografia in bianco e nero di un mondo perduto.

Vite minuscole è un libro che parla di assenza, di ineluttabilità, di nostalgia.

Lì potei toccare le assenze che minavano quei muri, il passato incolmabile e i figli ingrati del tempo ingrato, mio padre, io stesso, e alla fine il mondo intero del quale avevamo preso il posto, tutti spettri per i due vecchi spettri

Ma forse, più di tutto ma allo stesso tempo in maniera non subito esplicita, è un libro che parla di scrittura e di difficoltà nella scrittura. Perché il narratore, che coincide in buona parte con l’autore, racconta delle pagine bianche, del vuoto, del blocco.

Non sapevo che la scrittura era un continente più tenebroso, più ammaliante e deludente dell’Africa, lo scrittore una specie bramosa di perdersi ancor più dell’esploratore; e che, sebbene esplorasse la memoria e le memoriose biblioteche anziché dune e foreste, tornarne carico di parole come altri di oro oppure morirvi più povero di prima – morirne – era l’alternativa offerta anche allo scribacchino

Vite minuscole è una raccolta di racconti, ma di fatto diventa un romanzo: su come, nonostante tutto, la scrittura possa salvare e diventare un rifugio.

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Conosci l'autore

Pierre Michon è uno scrittore francese. Ha studiato lettere a Clermont Ferrand, dove si è laureato con una tesi su Antonin Artaud. In seguito si unisce a una piccola compagnia teatrale, senza esercitare una professione stabile. Nel 1984 pubblica il primo romanzo Vite minuscole, considerato un capolavoro della letteratura contemporanea francese. Dei suoi numerosi lavori, recentemente in Italia è stato pubblicato anche Rimbaud il figlio (Passigli 2005), Gli Undici (Adelphi 2018), La grande Beune (Adelphi 2020), Vite minuscole (Adelphi 2023).Nel 2017 ha vinto il prestigioso Premio Internazionale Nonino, nella cui motivazione si legge: "considerato un autore di culto, il suo scrivere è come il marmo che avvolge i prigioni di Michelangelo, al mondo un abbozzo misterioso, a chi sa leggere un capolavoro".

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