Zombie è la storia di un ragazzo che ammazza la gente perché cerca di trasformarla in zombie da usare come schiavi sessuali. È abbastanza violento, forte e crudo, ma allo stesso tempo anche profondamente realistico e io adoro quella donna (l’autrice ndr). Quindi leggete qualche cosa di lei
Ce lo dice così, con quell’apparente sorriso bonario semi-nascosto dalla folta barba, ma il bagliore negli occhi lo tradisce.
Sandrone Dazieri, il re – guarda caso – del thriller, ci sta lanciando una chiara sfida: siamo in grado di spogliarci della veste di lettore per assumere quella di uno spietato serial killer?
Quentin P_ è un enigma per i suoi genitori, anche se non credono all'accusa di molestie sessuali mossa da un minore nei suoi confronti. In libertà vigilata, Quentin scopre la lobotomia, e le sue ossessioni prendono forma. Sceglie le vittime seguendo il bisogno di creare uno zombie tutto per sé che, passivo e remissivo, lo supplichi e lo gratifichi.
È proprio questa la domanda implicita che ci pone anche Zombie, thriller della grandissima Joyce Carol Oates, autrice poliedrica che grazie all’opera vinse il Bram Stoker Award for Novel nel 1995, anno di pubblicazione del libro.
Eppure, nonostante quell’epoca possa apparirci molto lontana nel tempo, la storia vera a cui la Oates si ispira per creare il suo inquietante protagonista, è più attuale che mai.
Bastano solo due parole: Jeffrey. Dahmer.
Proprio in questi giorni, la serie TV Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer sta facendo numeri da record su Netflix, dimostrando come il fascino suscitato dalle contorte e malate menti dei killer, non smetta mai di catturarci.
Se il cannibale di Milwaukee continua a far parlare di sé anche oggi, a 28 anni dalla sua morte, non è difficile comprendere come mai una grande scrittrice come la Oates – all’epoca a solo un anno dall’uccisione di Dahmer, avvenuta in prigione per mano di un altro detenuto – abbia preso la storia del famigerato assassino, necrofilo e cannibale per adattarla al suo Quentin P_.
Questo il nome dell’innocuo (all’apparenza) cittadino di Mount Vernon, nel Michigan, che l'autrice ha messo al centro del suo romanzo. Un 31enne che si descrive attraverso una narrazione simile a un diario non datato, dove le proprie presentazioni e generalità sono d’obbligo, prima di aprirci le porte della sua sanguinosa, diabolica e perversa mente.
È proprio Quentin che ci accompagna, con frasi brevi e incisive, nel suo mondo: due genitori che lo sostengono, una sorella e una nonna che lo adorano, il suo lavoro da custode nella villa vittoriana di famiglia adibita ad affitta-camere per studenti… senza farsi mancare la libertà vigilata assegnatagli dal tribunale a causa delle molestie sessuali perpetuate nei confronti di un minorenne di colore.
Eccolo, il primo segnale.
Per quanto Quentin appaia accondiscendente e cordiale, scopriamo pagina dopo pagina come in realtà lui sia essenzialmente insensibile ad ogni emozione e aspetto della vita che lo circonda, compresi i suoi parenti.
Con la semplicità e la spontaneità di un bambino che ci mostra i suoi giocattoli, il protagonista descrive con terribile lucidità i suoi desideri sessuali legati a doppio nodo con l’intenzione di creare uno zombie che soddisfi qualsiasi suo bisogno, esercitando su di lui ogni tipo di potenza.
Come? Attraverso una serie di spietati esperimenti su persone rapite, stuprate e rinchiuse nello scantinato della villa di famiglia, sulle quali testa rudimentali tecniche di lobotomia con l’intenzione di raggiungere i suoi folli scopi che – ovviamente – sono destinati a fallire.
Una mente disturbata, ma astuta. Un monologo scorrevole senza investigatori né indagini.
Oates, in Zombie, rende godibile e intrigante persino il viaggio all’interno della psicologia di uno psicopatico, riuscendo ad inserire dell’ironia in quella che, alla fine, non risulta altro che essere la rappresentazione di una società disumanizzata.
È stato cinque anni fa che mi è venuta l'idea di creare uno ZOMBIE da usare per il mio piacere, un'idea come un fulmine che mi ha cambiato la vita.
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