Anniversari e Ricorrenze

La Marcia su Roma: un anniversario da capire attraverso i libri

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

La coincidenza tra il centenario della marcia su Roma che portò il fascismo al potere e la formazione di un nuovo governo, il primo in cui la presenza e il ruolo di figure ex-neo-post-fasciste è largamente presente, alimenta paragoni storici improponibili ma che solleticano la polemica politica e ideologica. Sulla marcia su Roma sono usciti in questi ultimi mesi e settimane moltissimi libri. Possiamo utilizzarli, almeno alcuni, per indicare le certezze storiografiche ormai condivise, e lasciare che siano i lettori a porre in relazione quel passato che è ancora così attivo nella nostra memoria collettiva e questo presente che con i tempi trascorsi non è ancora riuscito a fare seriamente i conti.

La vittoria del fascismo è figlia della guerra: senza la guerra né Mussolini né il movimento fascista sarebbero riusciti a nascere, organizzarsi, trovare seguaci e consenso. Della guerra il fascismo ha introiettato la brutalizzazione che essa ha portato nell’intera società, perpetuando la battaglia contro i nemici della patria, questa volta interni, gli stessi (i socialisti, la sinistra) che non avevano voluto partecipare allo sforzo patriottico con il loro neutralismo. La violenza era parte costitutiva della cultura politica del fascismo, ma i contemporanei hanno fatto fatica a riconoscerla come tale, malgrado la crescita esponenziale di omicidi ed episodi di violenza contro individui e gruppi avvenuta dal 1919 al 1922.

I partiti politici, tutti, hanno sottovalutato la forza del fascismo e l’abilità tattica di Mussolini, capace d’intrecciare in modo originale la pratica illegale di massa con quella parlamentare. I vecchi liberali s’illudevano di poter fare tornare l’Italia a prima della guerra, senza avere capito che la guerra aveva permesso l’ingresso delle masse nella politica; i socialisti e i popolari, malgrado la maggioranza in parlamento, rifiutavano ogni possibile accordo tra loro, i primi proiettati in un’attesa retorica e impotente della rivoluzione, i secondi incapaci di liberarsi della tutela del Vaticano.

I poteri economici, gli industriali e i grandi proprietari terrieri, appoggiano Mussolini perché sconfigga definitivamente il movimento operaio, e la loro vicinanza al fascismo cresce pur se con distinguo e preoccupazione. L’esercito, la polizia, la magistratura, vengono progressivamente inquinati dalla presenza fascista, come adesione di singoli uomini sempre più numerosa e come atteggiamento istituzionale debole e incapace di far rispettare la legalità e le proprie leggi. È la debolezza dello stato, che si manifesterà simbolicamente nel rifiuto del re a dichiarare lo stato d’assedio che avrebbe bloccato la scalata al potere fascista, a costituire l’ultimo atto di una lunga catena di corresponsabilità.

Se un paragone può essere fatto con quanto accaduto cento anni fa è la spinta dei tanti e diversi attori collettivi a osservare i fenomeni nuovi – tra cui il fascismo e la sua cultura politica fondata sulla violenza – con gli stessi parametri di un mondo che la guerra aveva completamente modificato. Una analoga cecità, probabilmente, è stata ed è presente nel comprendere i caratteri delle nuove forze populiste, analizzate e giudicate per lo più con i parametri del secolo scorso.

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