Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore…
È il 22 maggio del 1873, a Milano inizia a sentirsi aria di primavera inoltrata e intanto nel suo letto si spegne Alessandro Manzoni. Ha ottantotto anni.
Forse il 6 gennaio precedente, sui gradini della chiesa di San Fedele, c’era del ghiaccio o magari si trattò di una banalissima storta alla caviglia, ma Manzoni cadde e batté la testa contro la pietra. Il trauma cranico degenerò in meningite.
Così se ne andò uno dei padri della letteratura italiana, con un funerale di Stato e un corteo di personaggi illustri. Ma chi era Alessandro sotto il velo della fama? Chi era al di là di un cognome blasonato da conte che gli fu appiccicato alla nascita?
Da decenni i libri di letteratura riportano le stesse frasi per iniziare la biografia dell’autore, da anni la impariamo come un rosario e la scioriniamo alle interrogazioni:
Alessandro Manzoni nato il 7 marzo del 1785 figlio del conte Pietro Manzoni e di Giulia Beccaria figlia di quel Cesare Beccaria autore dell’opera Dei delitti e delle pene…
Manzoni ci viene raccontato come il figlio di, il nipote di, l’amico di… E anche all’epoca per tutta la vita, la sua vita sarà sulla bocca di tutti. A Milano dicono che in realtà è un bastardo concepito dall’unione di Giulia e Giovanni Verri. Dicono che la madre è una sciagurata che ha abbandonato il marito e il figlio e se ne è andata a Parigi con un nuovo amante, Carlo Imbonati. Quando sposa Enrichetta Blondel diventa uno degli argomenti più gettonati nei salotti milanesi: un italiano sposare una svizzera, un nipote di Beccaria sposare una borghese, un parente di un monsignore del Duomo unito in matrimonio con rito calvinista!
«Tutti si interessano ai fatti miei come fossero miei parenti», scriveva Manzoni all’amico Fauriel.
E allora Alessandro e Enrichetta si trasferiscono a Parigi e non torneranno a Milano prima del 1820.
Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore
L’autore delle più grandi opere corali della nostra letteratura, l’uomo che riuscì a intessere le più svariate sottotrame nei Promessi Sposi, che descrisse minuziosamente il tumulto della rivolta del pane nel suo romanzo storico era in realtà agorafobico.
Manzoni soffriva di ansia sociale e attacchi di panico. Detestava parlare in pubblico perché era balbuziente e infatti quando ottenne la carica di Senatore del Regno d’Italia era terrorizzato.
In una lettera datata 1860 e indirizzata a Emilio Broglio scrive:
“[…] Di parlare in Senato non è nemmeno il caso di pensarci, giacché sono balbuziente e tanto più quando son messo al punto. Sicché farei certamente ridere la gente alle mie spalle anche soltanto a dover rispondere lì per lì alla formula del giuramento: giu..giu..giuro! Andare in Senato anche per tacere è già una grossa difficoltà per un uomo che da quarant’anni in causa di attacchi nervosi, non osa mai uscir solo di casa sua
Ecco chi era Alessandro Manzoni dietro l’autore illustre: un uomo.
Un uomo che nella scrittura trovò un’immensa libertà. Nella letteratura i personaggi parlavano senza inciampi, si affollavano, si amavano, si tradivano, andavano via e tornavano a casa. Nella poetica dell’utile, del vero e dell’interessante Manzoni diventa sé stesso, senza tutte quelle patologie che lo caratterizzavano senza definirlo.
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