Non si dovrebbe morire, ma se è proprio necessario, che almeno si muoia al momento giusto e col sorriso sulle labbra
Così Octavio Paz accoglieva le fake news riguardanti la propria morte nel 1997; e ora, a 25 anni dalla scomparsa del premio Nobel messicano, non c’è epitaffio migliore per celebrarlo. Intellettuale schierato, poeta rivoluzionario e grande amante della vita, la parabola di Paz segue le sue esperienze di rappresentante nelle ambasciate messicane attraverso India e Giappone, con numerosi soggiorni a Parigi; ma comincia e finisce a Città del Messico, dove nasce tra i libri del nonno zapatista e comincia a pubblicare poesie in un panorama culturale ricco di rivalse e tragedie.
Per capirlo al meglio però dobbiamo prendere in considerazione tre oggetti apparentemente lontani tra di loro (o meglio un oggetto, una corrente artistica e uno scrittore a cui non stava particolarmente a genio): la piedra del sol, il surrealismo e Roberto Bolaño.
vado per la tua figura come per un fiume,
vado per il tuo corpo come per un bosco,
come per un sentiero di montagna
che in un abisso improvviso si tronca
La Pietra del Sole – insieme a Labirinto della solitudine – è forse la raccolta di poesie più fortunata di Octavio Paz. Questa prende spunto da un celebre reperto azteco, la piedra del sol, un rudimentale calendario la cui funzione era quella di istruire la popolazione sulla cosmologia azteca, fornendo indicazioni precise sulle divinità e le loro funzioni. Si potrebbe definire l’equivalente sudamericano dello scudo di Achille. Con questa prima raccolta emerge un aspetto della produzione di Paz che lo perseguita tutta la vita, ovvero la funzione mistica e rivelatrice della poesia.
Tra le sue più di 80 opere molte volte viene ripreso il tema della letteratura e della sua funzione, ma tra i versi della Pietra del Sole emerge qualcosa di calcificato e inespugnabile: la scoperta che ovunque si cela un senso condiviso, che sia il senso una funzione o che la sua funzione sia solo essere senso. E riverbera in ogni luogo del pianeta, dal massacro di Tlatelolco al colonialismo in India. Un senso che solo la poesia riesce a intercettare.
Una volta, faccia a faccia, ho aperto la mia faccia di fronte allo specchio: era la mia stessa faccia, quel riflesso congelato del nulla?
Durante gli studi Octavio Paz approda a Parigi, dove viene investito in pieno dall’ondata surrealista. Diventa amico di André Breton, lavora con Benjamin Péret e scopre un nuovo modo di attraversare il mondo, quello del senso sopra i sensi e delle congiunzioni impossibili. Scopre i nodi che compongono il mondo, ma a differenza dei suoi compagni parigini intuisce un’insospettabile verità: quei nodi sono solo l’anticipazione di un ingorgo più grande, che va ricercato altrove.
Il mondo diventa quindi non un luogo in cui ricercare questi nodi ma un’enorme matassa composta dallo stesso filo, che il poeta ha il compito di sgarbugliare. E Octavio Paz è senz’altro uno dei migliori sgarbugliatori che il mondo abbia visto. Attraversare le sue composizioni significa attraversare un Sudamerica nipponico o una Mumbai parigina. Si cercano i nodi e sotto i nodi si scopre che è tutto uguale a sé stesso, oltre i nodi si cela la meraviglia di un mondo semanticamente uguale ovunque ci si avventuri.
L’adolescente si stupisce di esistere
Arriviamo al terzo oggetto che ci aiuta a capire Octavio Paz: Roberto Bolaño. L’autore cileno cresce infatti in Messico, sotto la grande ombra del poeta messicano premio Nobel. Ma non è solo questo che spinge Bolaño a sviluppare un odio viscerale nei confronti di Paz. Octavio Paz è il poeta della vita, della gioia, della sorpresa e degli infiniti sensi che attraversano il creato. Roberto Bolaño invece è infra-realista, un anarchico della peggior risma, di quelli che detestano tutto e vogliono distruggere tutto.
È facile capire il rapporto problematico tra i due. Da una parte abbiamo un pro-tutto per eccellenza, dall’altra un anti-tutto di prima categoria. Eppure, nel complesso mondo dei segni e delle parole, anche loro riescono a capirsi: nel Parque Humido, a Città del Messico, Ulises Lima – uno dei protagonisti di Detective Selvaggi, capolavoro di Bolaño – incontra Paz; si dicono poco, si siedono uno accanto all’altro e alla fine si stringono la mano. Sono gli ultimi abitanti di un mondo dove è inevitabile sprofondare, la poesia.
E nonostante il destino dei due sia segnato, si rivolgono un reciproco gesto di riconoscimento e poi lasciano che ognuno continui sulla propria strada, tra i propri Parque Humido. Bolaño è stato forse l’unico che è riuscito a intercettare questa vena vagamente malinconica del grande poeta messicano. Forse perché ha intuito che dietro chi ama profondamente e incondizionatamente ogni aspetto della vita si nascondono tanti lutti quanti i minuti che passano. Quanti le poesie che sono state terminate. E noi con immensa gioia per la vita e con il sorriso sulle labbra lo ricordiamo con la sua poesia Fraternità:
Sono uomo: duro poco ed enorme è la notte.
Ma guardo in alto: le stelle scrivono.
Senza capire comprendo: anch’io sono scrittura
e in questo stesso istante qualcuno mi sta decifrando
Di
| SE, 2018Di
| SE, 2021Di
| Abscondita, 2019Di
| Sur, 2014Di
| Arcade, 2014Di
| Arcade, 2017Di
| Arcade, 2011Di
| ENDEBATE, 2012Di
| DEBOLSILLO, 2022Di
| AGUILAR, 2015Gli altri approfondimenti
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