Il 17 ottobre 1961 a Parigi, nell’indifferenza quasi generale, si consumò uno dei più gravi episodi di repressione poliziesca e razzista di una manifestazione nella storia dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. La polizia aggredì sistematicamente e preventivamente un corteo disarmato e pacifico di algerini, con un bilancio impressionante: centinaia i morti e i dispersi, migliaia i feriti, undicimila i fermi.
Nel 1961 l’Algeria era ancora francese e la guerra d’indipendenza durava da 7 anni a colpi di sabotaggi, attentati e risposte repressive che inasprivano un clima di generale tensione. Il primo ministro era Michel Debré, il presidente Charles De Gaulle. Quest’ultimo, nel gennaio dello stesso anno, aveva indetto un referendum sull’autodeterminazione dell’Algeria rivelando che il 72% dei francesi era a favore dell’autodeterminazione e della fine delle ostilità. Un risultato sorprendente, del tutto inatteso, che porta all’incrudelirsi delle frange più reazionarie dell’esercito.
Perché nell’ottobre del 1961 gli algerini scesero in piazza? La manifestazione era stata indetta della federazione francese del Fronte di Liberazione Nazionale contro il coprifuoco imposto dal prefetto di polizia di Parigi Maurice Papon (condannato poi nel ’97 per crimini contro l’umanità, per aver avuto un ruolo chiave nell’organizzazione della deportazione antisemita all’epoca di Vichy).
Il coprifuoco, istituito il 5 ottobre, arrivava in risposta a una serie di attentati, attribuiti al FLN, mossi a danno delle caserme di polizia parigine e limitava duramente la libertà di movimento di tutti gli algerini di Parigi e banlieue, imponendo un fermo alla circolazione dalle 20,30 alle 5,30 del mattino. Contro queste disposizioni, il 17 ottobre 1961 migliaia di francesi musulmani di origine algerina sfilarono pacificamente per le strade del quartiere latino, sui Grands Boulevards, quando la manifestazione fu repressa nel sangue dal governo francese e più di 11 mila manifestanti furono arrestati e trasferiti nel palazzo dello sport e allo stadio Pierre de Coubertin. Il numero effettivo delle vittime resta ad oggi ancora incerto – sicuramente più di 100 – e la vicenda nel suo insieme fu ammantata da un silenzio che per la durata di vent’anni ha impedito il riconoscimento delle responsabilità istituzionali del governo francese.
“Nessuna reazione pubblica si ebbe il 17 ottobre e nei giorni seguenti” commentò lo storico francese Pierre Vidal-Naquet, “parve che l’ondata di razzismo avesse travolto l’intera popolazione parigina”.
Come ha scritto lo storico Andrea Brazzoduro, “Negli ultimi anni è andata crescendo con forza la domanda di un riconoscimento ufficiale del 17 ottobre e contestualmente del razzismo strutturale che informa le pratiche di mantenimento dell’ordine nei quartieri popolari. Le statistiche ci dicono che un giovane nero ha nove possibilità più di un coetaneo bianco di essere fermato dalla polizia. Questi «controlli d’identità» avvengono dunque in base a criteri etno-razziali discriminanti. Nove volte su dieci i controlli si concludono con un niente di fatto”.
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