Il cielo sa che non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché sono pioggia sulla polvere accecante della terra che ricopre i nostri cuori induriti
A molti di noi, leggendo questa citazione, torneranno in mente le tante lacrime giovanili che abbiamo versato sui romanzi di Charles Dickens. Su quelle storie di orfani tiranneggiati, su quelle vite difficili e sfortunate fatte di sotterfugi, fughe, tradimenti, compromessi, fatica e miseria, miseria ovunque. Noi, nei nostri letti caldi, stringevamo quelle edizioni illustrate de Le avventure di Oliver Twist, David Copperfield, La Piccola Dorrit, tremando ad ogni pagina per la sorte dei giovani protagonisti e restando sempre in trepidante attesa del lieto fine che, come un balsamo sui nostri cuori, arrivava a riportarci il sorriso e a lasciare anche noi un po' orfani di quei nuovi amici.
Non sapevamo di avere tra le mani i romanzi di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, ma la sua narrazione generosa e la sua abilità nel creare immagini e intrecci appassionanti, ce lo hanno fatto amare già da quel primo incontro.
Charles Dickens, di cui il prossimo 7 febbraio ricorrono i 210 anni dalla nascita avvenuta a Portsmouth nel 1812, è l’autore che meglio rappresenta il secolo in cui è vissuto, quel 1800 che, in Inghilterra, coincise per gran parte con il regno della Regina Vittoria e da lei prese il nome di “Epoca Vittoriana”. Un periodo di crescita ed espansione per l’Inghilterra in cui la produzione industriale aumentò, l’Impero Britannico si espanse e consolidò diventando emblema del nuovo sistema capitalistico, e le campagne si spopolarono per dare alle città la forza lavoro di cui avevano bisogno. Città che divennero sempre più luoghi brutali, dove il lavoro in fabbrica condizionava la vita di tutti, stritolando le masse nei suoi ingranaggi in costante movimento.
Dopo un’infanzia in gran parte vissuta tra letture voraci e vita all’aria aperta e finita bruscamente a seguito dell’arresto del padre per debiti, Dickens divenne sostegno economico per la sua famiglia iniziando a lavorare da giovanissimo. L’esperienza del lavoro minorile lo segnò nel profondo, lo gettò tra gli emarginati, gli fece conoscere in prima persona l’insicurezza, la vergogna sociale e le privazioni che saranno gli stessi dei suoi personaggi. Da quel trauma giovanile nacque l’urgenza e il desiderio di denuncia che lo porterà a scrivere dei più umili, a denunciare nei suoi romanzi la vita di stenti della popolazione, le angherie, le ingiustizie subite dai lavoratori, specie dai più giovani e indifesi, e a criticare le istituzioni assistenziali. In definitiva, quel trauma personale lo portò a diventare il padre del romanzo sociale.
Dickens e Londra
Dickens trascorse gran parte della sua vita a Londra, vivendo la città nei suoi aspetti più diversi: quelli dei bassifondi, dove fu costretto a vivere e lavorare per parte della sua giovinezza, e quelli alto borghesi dove si inserì dopo i suoi successi letterari e il matrimonio. Londra compare costantemente nei suoi romanzi, vista da varie prospettive che Dickens fece sue durante le lunghe passeggiate che amava fare quotidianamente, soprattutto nelle ore notturne. Ci restituisce così un affresco della Londra vittoriana con le sue strade intricate, con quell'aria fumosa piena di smog e fuliggine, con prigioni tetre contrapposte a case signorili illuminate dalla luce delle candele, la Londra delle vecchie locande e dei pub, dei suoi tanti ponti e di quella nebbia onnipresente che cela i contorni delle cose. Un personaggio silenzioso ma fondamentale per entrare nel suo mondo.
La strada per arrivare ad esso però fu lunga e ricca di altre esperienze. L’istruzione sommaria che aveva ricevuto dopo l’uscita di prigione del padre e la ripresa degli studi, unita alla sua voglia di emergere e doti innate, bastò a portarlo a lavorare prima in uno studio legale e successivamente ad approdare al giornalismo e alla scrittura come professione. La svolta avvenne nel 1836 quando pubblicò a puntate il suo primo romanzo, Il Circolo Pickwick, divertente e vivace affresco della società londinese che divenne un immediato successo.
Il suo romanzo successivo, Le avventure di Oliver Twist, uscì a dispense tra il 1837 e il 1838. In esso iniziò a farsi strada l’urgenza di denuncia e la descrizione della società nei suoi aspetti più brutali, pur restando un’opera largamente umoristica, tratto distintivo di una dicotomia tra tragico e comico che resterà quasi costante nell’opera di Dickens.
Da quel momento in poi la sua attività letteraria divenne incessante e in breve tempo gli portò fama, riconoscimento sociale e benessere economico.
Dickens e il suo pubblico
Dickens scrisse in modo prolifico per tutta la vita, riuscendo ad attirare a sé un pubblico di lettori vastissimo e in gran parte nuovo. Molta di questa fama si deve alla vendita a dispense mensili delle sue opere, che ne favorivano la lettura anche da parte di un pubblico meno istruito degli abituali lettori di romanzi e che generava un'attesa spasmodica ricca di speculazioni per l'uscita del numero successivo. Oltre a questo, di molte delle sue opere vennero ripetutamente tratte delle riduzioni teatrali che lo fecero conoscere anche a chi lettore non era. Infine, egli ebbe una necessità quasi morbosa di essere sempre a contatto con il pubblico, che lo spinse a cimentarsi in letture pubbliche di episodi tratti dai suoi romanzi ottenendo un sorprendente successo.
Fu con Martin Chezzlewit, Dombey e figlio e Casa Desolata scritti nel decennio tra il 1843 e il 1853, che l’opera dickensiana divenne più direttamente impegnata nell’analisi e nella denuncia dei costumi sociali dell’epoca, scivolando in modo deciso verso quel romanzo sociale di cui più sopra lo indicavamo come maggiore esponente e, idealmente, padre.
In questi romanzi troviamo accurate descrizioni della vita condotta dalle classi più povere e la condanna esplicita della civiltà industriale che Dickens vedeva come principale responsabile delle brutture del suo tempo. Le vicende dei protagonisti sono emblematiche di questo ambiente sociale, a cui fanno da sfondo i quartieri degradati dove vivono ammassati i lavoratori delle fabbriche e, da contraltare, l’egoismo, l’ipocrisia e la rapacità di chi vuole emergere a tutti costi, tratti dominanti di quella borghesia moraleggiante che fu uno dei bersagli favoriti di Dickens.
In questo stesso periodo, pubblicato nel 1849-1850, si colloca anche David Copperfield, che tratta in modo meno netto queste tematiche ed è apprezzabile soprattutto per i capitoli relativi all’infanzia del protagonista. Scritto in prima persona, è il suo romanzo più evidentemente autobiografico e uno dei suoi maggiori successi.
Dickens e i Chrismas Books
Dickens è stato lo scrittore che meglio di tutti ha saputo celebrare e diffondere la magia del Natale, al di là di qualsiasi implicazione di tipo religioso. "Il Canto di Natale", scritto in poche settimane nel 1843, fu il primo di questi Christmas books ed è tutt'oggi uno dei classici natalizi più amati. Dopo di esso, quasi ogni anno Dickens deliziò il suo pubblico con un racconto di Natale. Tra i migliori ricordiamo "Le campane", "La battaglia della vita", "Il patto con il fantasma", "Il grillo del focolare".
Negli ultimi anni della sua vita la polemica verso l’industrializzazione e lo sfruttamento economico delle istituzioni divennero i temi dominanti delle sue opere: Tempi difficili (1854), La piccola Dorrit (1857-58), Grandi Speranze (1860-61) e Il nostro comune amico (1864-65) sono romanzi via via più cupi in cui il lieto fine stenta ad arrivare. Pur avendo una grande sensibilità nell’individuare e rendere i conflitti sociali della sua epoca, che riesce a trasmetterci senza essere mai pedante o didascalico, la sua posizione fu raramente propositiva sul come risolvere tali conflitti. Restò in lui una certa diffidenza verso quella classe operaia di cui denunciava lo sfruttamento, che non considerava capace di elevarsi autonomamente dalla sua condizione ma solo attraverso un riformismo che arrivasse dall’alto. Davvero una "grande speranza", vagamente illusoria, che non riuscì a vedere realizzata durante la sua vita.
Dickens si spense a Londra a causa di un’emorragia cerebrale, che lo colse il 9 giugno 1870. Oggi riposa nell’Abbazia di Westminster, omaggiato da estimatori di tutto il mondo. Ma attraverso i suoi romanzi e racconti, oltre ai molti adattamenti per cinema e televisione che ne sono stati tratti negli anni, Dickens e la sua visione del mondo hanno continuato a riecheggiare fino ai giorni nostri.
Non è un caso che sia stato coniato l'aggettivo dickensiano per descrivere condizioni di vita o di lavoro squallide e desolanti e per riferirsi a trame romanzesche intricate, ricche di colpi di scena destabilizzanti e ambientate in luoghi degradati ma capaci, a un certo punto, di scovare la luce nell’oscurità più nera.
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