Come Maremosso, media partner del Premio Strega Poesia, non potevamo non dedicare uno spazio ai libri di poesia candidati a questa prima edizione!
Ogni giorno, trovate le biografie degli autori e le opere con le quali gareggeranno in vista del 19 maggio, data in cui verrà proclamata la cinquina finalista.
Claudio Damiani partecipa con Prima di nascere (Fazi)
Ha pubblicato diversi libri di poesia tra cui Eroi (2000, Premio Montale), Attorno al fuoco (2006, Premio Luzi), Sognando Li Po (2008, Premio Lerici Pea), Endimione (2019, Premio Carducci). Alcuni suoi testi sono stati interpretati da Piera Degli Esposti, Nanni Moretti, Roberto Helitzka e altri. Le sue raccolte più importanti sono Poesie (2010), Il fico sulla fortezza (2021), Cieli celesti (2016).
Damiani parte da un chiodo fisso che aveva da bambino, all’età di quattro-cinque anni: si chiedeva dove fosse potuto stare prima di nascere, sospeso nel cielo, dove avesse potuto poggiare i piedi: «mi sembrava incredibile non essere esistito prima / e mi sembrava incredibile pure di essere esistito». Il viaggio lo porta alla sua infanzia e alla nascita, a prima di nascere e anche a dopo la vita, come se questa fosse il tratto visibile di una linea invisibile, o meglio di una catena, o di una rete di catene e anelli tutti collegati. E come un suono copre un altro suono, questa rete meravigliosa quasi copre la nostra angoscia, la nostra ignoranza come di bestie condotte al macello, o forse a un rito sacrificale.
Nel libro ritorna sempre l’abisso in cui il bambino si sentiva sospeso prima di nascere, simile a quello in cui è sospeso l’uomo contemporaneo, che, nell’immagine di Emanuele Severino, è come un trapezista che ha appena lasciato un trapezio e non ha ancora afferrato l’altro, e si ritrova sospeso senza appigli sul vuoto.
Lucrezia De Lellis partecipa con Incandescente (Eretica)
Ha studiato Lingue e Letterature Moderne presso l’Università di Roma, Tor Vergata. I suoi interessi si rivolgono all’arte: attività teatrali laboratoriali dal 2015 nel suo paese d’origine, pittura, disegno e manipolazione dell’argilla. Questo le permette di stabilire dei contatti reali con le cose, con gli oggetti, e favorisce un ascolto attento di parole mute che spesso rivelano poesie inaspettate.
La poesia attraversa la distanza tra significati e significanti. Ha il compito di dissolvere, dal participio passato latino DIS-SOLUTUS: disfare, separando e disordinando le parti che compongono un tutto o mandando questo in frantumi. Le metafore, incandescenti, infuocate, ripristinano più veri e più lucenti i legami tra le parole, e delle parole con il nostro personale vissuto. Essa germoglia tra le macerie dell’anima dopo che, imprudente, si sporge a osservare la profondità del divario tra sé e il mondo. All’origine non vi è mai una pace interiore, ma una vertigine di fronte al paradosso che fonda il senso.
La poesia attraversa la distanza tra significati e significanti. Ha il compito di dissolvere, dal participio passato latino dis-solutus: disfare, separando e disordinando le parti che compongono un tutto o mandando questo in frantumi. Le metafore, incandescenti, infuocate, ripristinano più veri e più lucenti i legami tra le parole, e delle parole con il nostro personale vissuto.
Eugenio De Signoribus partecipa con Nel villaggio oscuro (Manni)
Classe 1947, nato a Curpa Marittima, nelle Marche, ha pubblicato sei percorsi poetici: Case perdute (il lavoro editoriale, 1989), Altre educazioni (Crocetti, 1991), Istmi e chiuse (Marsilio, 1996), Principio del giorno (Garzanti, 2000), Ronda dei conversi (Garzanti, 2005), Trinità dell’esodo (Garzanti, 2011). I primi cinque, con alcuni inediti, sono confluiti nel volume Poesie 1976-2007 (Garzanti, 2008), per il quale ha ricevuto il premio Viareggio. Alcuni suoi libri sono stati tradotti in francese, spagnolo, svedese e portoghese.
L’itinerario poetico di Eugenio De Signoribus trasmuta nella vita della lingua le lacerazioni e le opacità e i bagliori dell’esistenza. Accoglie il visibile – con le sue ferite, con il suo chiuso orizzonte – in un movimento del verso la cui musica non vela l’asperità, e nella forma dolorosa lascia trasparire quella dolcezza che per i primi poeti della nostra lingua era il proprio della poesia. “L’amore della lingua contiene gli altri amori”, scrive. La riflessione sulla poesia si modula sia nella forma della prosa sia nella forma del verso. La prossimità al visibile della natura, alla sua bellezza, dialoga con la meditazione sul male che assedia il nostro tempo, la peregrinazione nell’ombra non distoglie lo sguardo dalla luce. Come la malinconia non è separata dall’indignazione, l’esplorazione interiore non distrae dal compito civile di denunciare le forme violente del potere.
L’itinerario poetico di Eugenio De Signoribus trasmuta nella vita della lingua le lacerazioni e le opacità e i bagliori dell’esistenza. Accoglie il visibile – con le sue ferite, con il suo chiuso orizzonte – in un movimento del verso la cui musica non vela l’asperità, e nella forma dolorosa lascia trasparire quella dolcezza che per i primi poeti della nostra lingua era il proprio della poesia.
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