La grande bellezza è la storia di un uomo, di una città eterna, di un paese disincantato e del cinema, ma non necessariamente in quest'ordine.
Il capolavoro di Paolo Sorrentino approda nelle sale italiane il 21 maggio 2013, in contemporanea con l’anteprima al Festival di Cannes. Con un budget di 9,2 milioni di euro, il film incassò oltre 24 milioni di dollari in tutto il mondo.
Co-sceneggiato con il padovano Umberto Contarello, il film vede come immancabile star Toni Servillo (affiancato questa volta da Carlo Verdone e Sabrina Ferilli). L’attore campano è qui alla sua quinta collaborazione con il regista, suo conterraneo.
Vincitore dell’Oscar come miglior film in lingua straniera (oggi «Miglior film internazionale»), La grande bellezza è riuscito a riportare in patria l’ambita statuetta, dopo 15 anni da La vita è bella di Benigni; ma è anche l’ultimo italiano ad averla conquistata in ordine di tempo.
Il sesto film di Sorrentino segue le impenitenti avventure di Jep Gambardella, editorialista di gossip diventato famoso grazie al suo unico libro L’Apparato Umano (titolo originario del film). Indolente e distaccato, il 65enne viveur trascorre la sua esistenza tra party sfrenati nell'élite romana e passeggiate solitarie sul Tevere, alla ricerca di una «grande bellezza» che lo riconduca all’ispirazione.
Inserito tra i 1001 film da vedere prima di morire secondo Steven Schneider, La grande bellezza è influenzato da una celebre frase di Gustave Flaubert che una volta ammise di voler scrivere un romanzo sul niente; l'aneddoto è raccontato da Gambardella alla governante, durante l’ennesima festa dal suo attico in Piazza del Colosseo.
È in occasione del cinquantesimo anniversario della Dolce Vita che il regista del Vomero parlerà, per la prima volta, del suo progetto; realizzare una versione «2.0» del classico di Fefè, ma con la Roma di Cafonal. Il manuale di Roberto D'Agostino sulle cene nei salotti pariolini, immortalate da Umberto Pizzi.
Come il Maestro di Rimini, Sorrentino mette al centro una figura che funge da guida dantesca attraverso i «gironi» della caput mundi notturna. Marcello Rubini (Mastroianni) da un lato e Jep Gambardella (Servillo) dall’altro: entrambi giornalisti apprezzati che aspirano a diventare scrittori (e re della mondanità capitolina).
Il «falso miracolo» diventa, qui, uno stormo di fenicotteri rosa. In più, la «Grande» del titolo può essere letto come un aggiornamento del felliniano «Dolce».
Sorrentino ringrazierà Il Maestro durante il suo discorso sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, il 2 marzo 2014.
Roma è la grande bellezza scenografica del film: le sue chiese misteriose, i suoi palazzi antichi, le sue statue millenarie.
Come il Marforio, l’enorme scultura marmorea nella locandina alle spalle di Servillo (ma è un trucco digitale), conservata nei Musei Capitolini. Città senza tempo, Roma risplende di una luce unica grazie al maestoso lavoro di Luca Bigazzi. Storico collaboratore del regista partenopeo, il direttore della fotografia nato a Milano detiene il record di vittorie (7) al David di Donatello.
Sorrentino visitò per la prima volta la Capitale da ragazzo, dopo l’improvvisa morte dei genitori, e alla fine ci si trasferì.
È il sole che svanisce lento. Ma la bellezza può ferire se non sai guardare oltre l’apparenza
Per il cineasta napoletano, la Bellezza acquisisce un senso duplice: da una parte, c’è la bellezza monumentale e dall’altra, la bellezza decadente.
Sorrentino gioca con l’estetica impeccabile delle inquadrature (e dei piani-sequenza), in contrasto con i suoi personaggi tutt’altro che perfetti.
La Grande Bellezza è dedicato all’amico Giuseppe D’Avanzo (ex giornalista del Corriere e di Repubblica) stroncato da un malore nel 2011, all’età di 58 anni, durante una gita in bicicletta nel viterbese.
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