Immaginate di camminare per i vicoli, i fondaci, gli anfratti cupi mai sfiorati dal sole nel ventre della Napoli di fine Ottocento. O meglio, fate conto di guardare la città come se i vostri occhi fossero quelli di una telecamera sulla spalla di qualcuno che ve ne mostrasse le fogne a cielo aperto, i luridi bassi dove si viveva ammassati a decine, le pozzanghere fetide da schivare. Bene, quel qualcuno è Matilde Serao, la prima giornalista italiana ad aver fondato e diretto quotidiani, la telecamera è lo straordinario reportage che scrisse quasi in presa diretta durante il colera del 1884, che a Napoli fece 7994 vittime. E i suoi formidabili articoli, apparsi a puntate su una rivista romana e poi raccolti in un libro uscito da Treves, Il ventre di Napoli, resero possibile ciò che ogni giornalista si augura. Con un incipit audace e modernissimo (“Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli… e se non lo conosce il governo, chi deve conoscerlo?”) lasciarono un triplice segno potente: propiziarono l’inchiesta Saredo sulla corruzione, poi lo sventramento dei quartieri degradati e malsani, poi la prima Legge Speciale per il Sud. Voluta da Francesco Saverio Nitti, con l’insediamento dell’Ilva.
E allora. Ci sono molte ragioni perché ognuna delle 15mila giornaliste oggi attive in Italia debba considerarsi debitrice di donna Matilde. La più sostanziale: avrebbe potuto crogiolarsi nel successo letterario per romanzi in verità non eccelsi ma popolarissimi come Il paese di cuccagna o La virtù di Cecchina. Invece fu la prima a “pensare” sé stessa come una giornalista. Così, e non scrittrice, si definiva con orgoglio, rompendo la declinazione esclusivamente maschile del termine, riconoscendosi nella “febbre talvolta bruciante”, nel “soave e imperioso male dello spirito che quel mestiere comportava”. Fu Napoli il luogo da cui lanciò la sua sfida al cielo di un mondo da sempre maschile, come co-fondatrice del Mattino nel 1892, fianco a fianco con quello Scarfoglio cui si legò in un inedito sodalizio sentimental-professionale.
Non era bella, Matilde, tutt’altro: testone lanoso, corporatura massiccia, risata grassa da comare. Ma Eduardo, bello e fascinoso, almeno per un po’ ne fu attratto sul serio. Lei figlia di un avvocato napoletano antiborbonico costretto a lasciare la città per fuggire a Patrasso, dove la bimba nacque nel 1856, lei analfabeta fino a otto anni ma cresciuta nella redazione del Pungolo dopo il ritorno a Napoli del 1860, dove il padre lavorò come giornalista, a quindici anni non aveva ancora un titolo di studio ma riuscì a farsi assumere ai telegrafi di Stato. E da allora lavorò sempre, e duramente, prima negli ambienti giornalistici romani, dove conobbe Eduardo, poi a Napoli, dove i due cominciarono insieme la memorabile avventura del Mattino.
Il talento di Matilde si rivelò subito e tra i due si operò una singolare divisione dei compiti, o meglio una divaricazione: lui politicante, sanguigno, polemico e traffichino, colluso con esponenti della vita pubblica e degli affari a scopi personalistici, fino a dar luogo a una categoria non esattamente esaltante, lo “scarfoglismo”; lei cronista capace d’intercettare gli umori popolari come di raccontare il mondo dei salotti e dei circoli borghesi cittadini, di ideare il primo inserto culturale italiano e di convogliare intorno al Mattino firme come D’Annunzio, Roberto Bracco, Francesco Mastriani. Matilde, con pseudonimi come Gibus, Tuffolina, Chiquita, raccontò come nessuno la Napoli della belle époque in piccolissimi testi succosi, i Mosconi, aggiornando sulle tendenze della moda, riferendo chiacchiere da salotto e dispensando consigli sul Saper Vivere (che diventò il titolo di una sua seguitissima rubrica). Ma la sua forza furono il fiuto da cronista, rivelato in quel reportage scritto a soli 28 anni, e la passione per il racconto di Napoli. Intanto Scarfoglio, vero acrobata della penna, cambiava casacca, fingeva di scorticare i potenti ma lo faceva secondo propria convenienza, e si avvaleva del gran talento di sua moglie, ripagandola infine con la moneta dolorosa dei tradimenti e dell’abbandono. Lui che per far colpo su Matilde aveva stroncato il suo primo racconto, "Fantasia", avrebbe dato quel nome al panfilo ancorato davanti a Mergellina e usato per le sue frequenti scappatelle, fatte sotto gli occhi di Matilde.
Lei no, non si vendicò. Lasciò dignitosamente il Mattino, fondò un suo giornale, continuò a scrivere, scrivere e scrivere. Trovò anche il tempo di occuparsi dei quattro figli maschi e in più della bambina avuta da Eduardo con un’attrice che gliel’aveva lasciata sull’uscio di casa, dopo essersi suicidata davanti ai suoi occhi. La crebbe come figlia sua, la amò come i suoi stessi figli dando a lui una lezione di stile e umanità da vera gentildonna meridionale: quando si dice Saper vivere!
Di
| Monte Università Parma, 2012Di
| Ledizioni, 2015Di
| Ledizioni, 2015Di
| Henry Beyle, 2016Di
| Elliot, 2017Di
| EDB, 2017Di
| Orecchio Acerbo, 2017Di
| Coppola Editore, 2021Di
| Croce Libreria, 2020Di
| Graphe.it, 2016Di
| Liguori, 1986Di
| Chi Più Ne Art Edizioni, 2018Di
| Rizzoli, 2012Di
| Avagliano, 2008Di
| Elliot, 2018Di
| Colonnese, 2022Di
| Alessandro Polidoro Editore, 2022Di
| Edizioni Clandestine, 2019Di
| Intra Moenia, 2016Gli altri approfondimenti
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