Nel corso dell’autunno già caldo per le vertenze legate ai rinnovi contrattuali, il 19 novembre 1969 l’Italia si ferma: milioni di lavoratori entrano in sciopero. L’obiettivo è quello di trasformare la casa in un servizio sociale sottraendola alle logiche di puro profitto per assicurare a tutti i cittadini condizioni abitative adeguate ad un livello civile di vita collettiva.
Lo sciopero nazionale per il diritto alla casa rivendicò la centralità della questione abitativa legandolo a un movimento più ampio che, proprio in quegli anni, iniziò a rivendicare la necessità di un governo della città più democratico e partecipato.
La spinta alla mobilitazione arrivava certamente dalle fabbriche ma anche dai territori dove si erano sviluppate forti lotte spontanee che spesso né le strutture sindacali né i partiti della sinistra tradizionale erano state in grado di organizzare e dirigere. Era una reazione a un bisogno acuto e diffuso: come spiega lo storico Davide Tabor, “interi settori della società, dal secondo dopoguerra, vivevano in condizioni abitative precarie, inadatte, improprie, prima a causa dei problemi legati alla ricostruzione delle città bombardate, poi per il permanere di tradizionali forme di disagio abitativo, infine in seguito al nuovo fabbisogno di alloggi alimentato dalla pressione demografica esercitata dai flussi migratori sui principali centri urbani”.
Quel giorno di novembre nasceva dunque da istanze profondamente radicate che movimenti per la casa attivi nelle periferie urbane e comitati spontanei di inquilini e di quartiere seppero incanalare e rappresentare fino a intercettare l’interesse di sindacati e partiti. Nei giorni che precedettero lo sciopero la sua organizzazione fu sostenuta casa per casa, quartiere per quartiere, piazza per piazza e questo garantì alle manifestazioni l’ampia partecipazione che riscossero.
Come ricorda Mattia Gatti, Segretario territoriale SICeT Milano, “anche a Milano la mobilitazione ha un indubbio successo. Ma ha un epilogo tragico. Al termine del comizio tenuto all’interno del Teatro Lirico la polizia interviene in modo violento per disperdere un corteo, in quel momento pacifico, di dimostranti della sinistra extraparlamentare che si stava unendo ai lavoratori in uscita dal teatro. Nel buio generato dai gas lacrimogeni resterà ucciso l’agente di polizia Antonio Annarumma. Le circostanze della morte non furono mai chiarite ma questo episodio diede l’occasione alle destre per attaccare in modo violento il movimento sindacale”.
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