Il 5 gennaio di novant’anni fa nasceva Umberto Eco, intellettuale poliedrico e ostile ad ogni categorizzazione troppo ferrea. Saggista, professore, scrittore, traduttore, filosofo, semiologo: il retaggio che ha saputo lasciare alla cultura italiana è incommensurabile, eppure Eco ha sempre saputo divincolarsi bene da chi voleva ingabbiarlo nel ruolo del teorico immobile nella propria torre d’avorio.
Quando si trattava di fare divulgazione culturale, l’intellettuale di Alessandria infatti metteva al primo posto l’immediatezza e l’ironia, a riprova che spesso la grandezza consista nella capacità di spiegare questioni molto complesse con le parole più semplici possibili.
Un esempio su tutti sia l’elogio che gli ha dedicato Alessandro Baricco in occasione della sua scomparsa, nel 2016: «Capì che il cuore del mondo non stava immobile in un tabernacolo sorvegliato dai sacerdoti del sapere: comprese che era nomade, capace di spostarsi nei posti più assurdi, di nascondersi nel dettaglio, di espandersi in archi di tempo colossali, di frequentare qualsiasi bellezza, di battere dentro a un cassonetto e di sparire quando voleva».
E dire che l’ambiente universitario frequentato da Umberto Eco non è dei più umili, dal momento che il futuro scrittore si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia. La passione per la storia e la cultura medievale nasce negli anni dell’università e accompagna Eco per tutta la sua vasta produzione letteraria, sia per quanto riguarda la saggistica, che per quanto concerne la narrativa: se infatti la sua primissima pubblicazione è un ampiamento della sua tesi di laurea dedicata alla figura di Tommaso d’Aquino, il suo romanzo più famoso – Il nome della rosa – è ambientato in un’abbazia del XIV secolo.
Quel cameo in Dylan Dog
Umberto Eco è stato un grande appassionato del fumetto Dylan Dog e gli sceneggiatori hanno voluto omaggiare lo scrittore nel numero 136, in una storia in cui Humbert Coe (chiaro alter ego dell’autore de Il nome della rosa) affianca l'indagatore dell'incubo in nella risoluzione di un fitto mistero legato all'origine del linguaggio.
Dopo gli studi, Eco approda in RAI. L’emittente stava a quei tempi cercando di svecchiare la propria immagine avvalendosi di intellettuali dalle idee fresche e innovative, soprannominati corsari. L’esperienza televisiva sarà fondativa per quanto riguarda l’impianto teorico di buona parte della saggistica scritta da Umberto Eco. Nel 1961 pubblica infatti Fenomenologia di Mike Bongiorno, poi seguito da Diario minimo (1963) e inizia ad appassionarsi con sempre maggior fervore al campo dei nuovi media, tanto da farsi in seguito promotore, presso il DAMS di Bologna, di un corso universitario specificamente dedicato all’ambito delle scienze della comunicazione.
Quanto più distante dall’arroganza tipica del ceto intellettuale, Eco è infatti solito infatti ripetere che a suo dire l’uomo colto non è colui che conosce ogni risposta, ma “colui che sa dove andare a cercare l'informazione nell'unico momento della sua vita in cui gli serve”. I mezzi di comunicazione a suo dire non vanno demonizzati, come tendono a fare molti intellettuali, ma devono al contrario essere capiti e analizzati con lucidità. Nel 1964 Eco esprime bene la dicotomia presente nell’opinione pubblica in merito ai nuovi media all’interno di un saggio dal titolo alquanto diretto, Apocalittici e integrati.
La cultura di massa e il suo rapporto con i più moderni mezzi di comunicazione rimangono centrali nel pensiero di Eco anche nei decenni successivi, quando l’avvento di Internet cambia le carte in tavola. Grande sostenitore del progetto di Wikipedia, vista come un’enorme e democratica enciclopedia condivisa, Eco sarà tuttavia più scettico per quanto riguarda i social network, sostenendo che rischiano di dare “diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli."
L’esperienza vissuta in RAI non influisce però soltanto sull’elaborazione del pensiero di Eco, ma è per lui essenziale anche da un punto di vista più strettamente personale: è in questa circostanza infatti che conosce altri intellettuali, con i quali darà vita qualche anno più tardi al Gruppo63, un collettivo neoavanguardista interessato a sperimentare nuove forme di espressione, rompendo con gli schemi tradizionali. La critica della cultura che a quel tempo viene incensata da pubblico e giornali non risparmia scrittori e pensatori del calibro di Giorgio Bassani e Vasco Pratolini, ironicamente definiti “Liale” in riferimento all’autrice di romanzi rosa.
Queste polemiche e querelle non impediscono a Eco di diventare, nel 1959, codirettore della casa editrice Bompiani, ruolo che ricopre fino al 1975. Nel frattempo, negli anni Sessanta ha inizio la lunga carriera universitaria che lo avrebbe visto insegnare in vari atenei, da Torino a Milano, da Firenze a Bologna, prima di approdare nelle più prestigiose università del mondo. Finirà infatti per tenere lezioni anche alla Columbia, a Yale, Harvard e Oxford, e si ritirerà dall’insegnamento solo nel 2007, per sopraggiunti limiti d’età.
Le onorificenze di Umberto Eco
Sapevate che a Umberto Eco sono state conferite oltre 40 lauree honoris causa? Ma non è stata l’unica onorificenza data allo scrittore: gli è stato dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco, scoperto nel 1991 dall'astronomo belga Eric Walter Elst. E c’è di più: nel 2008 lo scrittore è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima del regno di Redonda dal re Xavier, in omaggio al suo romanzo L’isola del giorno prima
Nel 1968 Eco inizia a sviluppare un interesse per la semiotica, non limitandosi a pubblicare diversi saggi (a partire da La struttura assente) ma dando anche vita alla rivista specialistica Versus. Nel frattempo, collabora anche con l’Espresso, sul quale dal 1985 al 2016 tiene la rubrica culturale La bustina di Minerva, appuntamento settimanale nel quale l’intellettuale dà sfogo a tutte le sue più brillanti qualità, tra cui acume e ironia. Non si tratta però dell’unica testata che ha l’onore di ospitare articoli di Umberto Eco, il quale dà vita a collaborazioni anche con La Stampa, il Corriere della Sera e Repubblica.
Cura solo pochi libri in veste di traduttore, ma tra questi spicca la traduzione italiana degli Esercizi di stile di Raymond Queneau, ambiziosa antologia che si promette di raccogliere per 99 volte la stessa storia, raccontata in 99 modi diversi.
L’esordio in narrativa avviene solo nel 1980, con quello che sarà per sempre considerato il suo capolavoro, Il nome della rosa, un romanzo ricco di citazioni colte e piccoli divertissment (come l’incipit che riprende in chiave parodistica una vignetta dei Peanuts). Il libro ottiene uno straordinario successo di pubblico, vince lo Strega e viene adattato in film e serie tv. Nel 2012 se ne pubblica una versione riveduta e corretta, emendata da ripetizioni e anacronismi.
"Il nome della rosa" è il libro cult di centinaia di bibliofili, e per un ottimo motivo. Come si spiega infatti l'economista Alessandro Giraudo, leggerlo "è un po’ come avere unpaio di occhiali attraverso i quali si può riguardare la storia dell’uomo". Scopri la sua recensione a questo classico moderno nella nostra rubrica dedicata ai romanzi cult.
Segue nel 1988 Il pendolo di Foucault, satira delle teorie complottiste e del retropensiero con cui a volte vengono riletti i fatti storici. Temi ricorrenti nella produzione letteraria di Eco, in cui la stupidità dell’uomo medio viene trattata con bonaria tolleranza raramente venata di disprezzo.
“La mia biblioteca è ricca di testi che hanno a che fare con la scienza falsa, strampalata e assurda” dichiara infatti nel saggio Non sperate di liberarvi dei libri, dialogo con Jean-Claude Carriére, “Sono affascinato dall’errore, dalla malafede e dalla stupidità”.
La seduzione esercitata dall’invenzione, dall’artificio, dalla falsità e dal ricordo è centrale anche nei romanzi successivi: L'isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015), tutti editi Bompiani. Ma l’idillio con la casa editrice è destinato a finire.
L’idealismo di cui lo scrittore aveva dato prova in gioventù, militando nei primi gruppi politicizzati della sua università, non lo abbandona neanche in età più avanzata: dopo l’acquisizione di Bompiani da parte del gruppo Mondazzoli, Eco decide di abbandonare la propria storica casa editrice, scegliendo di pubblicare da quel momento in avanti sotto l’egida della neonata Nave di Teseo. Un ambizioso progetto al quale dà vita insieme a una squadra di intellettuali e promotori culturali, un esperimento che Eco, non senza un pizzico di divertita incoscienza, definisce "l'unica alternativa alla Settimana Enigmistica, il vero rimedio contro l'Alzheimer".
Lasciare Bompiani per fondare una propria casa editrice è una scelta coerente e coraggiosa, lontana dal cinismo con cui aveva affermato: "L'eroe vero è sempre eroe per sbaglio, il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco come tutti."
Nel 2006 abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e di chiedergli quale fosse, a suo dire, il compito di un editore del futuro.
Fare libri. Perché malgrado tutte le visioni apocalittiche, il libro è come il cucchiaio, il coltello, il martello, cioè una cosa che una volta che è stata inventata non c’è barba di designer danese che riesca a modificarla per farla diventare più efficace
Umberto Eco viene a mancare nel 2016, ma il retaggio di quanto lascia nel mondo della cultura è più vivo che mai in virtù dell’imperitura gloria conferita dall’attività di leggere e scrivere.
Come ricorda infatti lo stesso scrittore: “Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”
Un’immortalità all’indietro che Eco ha la fortuna di vivere ogni giorno, prendendo vita tra le pagine dei propri saggi e romanzi. E, come l’Eco del mito, la sua voce continuerà a rimbombare dentro di noi, anche molto tempo dopo la sua scomparsa.
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