Anniversari e Ricorrenze

Vladimir Horowitz, il Romanticismo dietro l'angolo

Immagine tratta dal libro "Chopin - Schumann - Rachmaninoff - Liszt , Vladimir Horowitz (Interprete), Vinyl Passion Classical, 31 maggio 2019"

Immagine tratta dal libro "Chopin - Schumann - Rachmaninoff - Liszt , Vladimir Horowitz (Interprete), Vinyl Passion Classical, 31 maggio 2019"

Uno si dice: lo usano nella musica classica, sarà vecchio come il cucco. Ma in realtà il pianoforte è uno strumento, per così dire, nuovo. Il violino, quello sì, è nato intorno alla metà del Cinquecento; il pianoforte, in una forma simile a quella che vediamo oggi, si è invece fatto strada solo nella seconda parte del Settecento, mettendosi a disposizione di Mozart, di Beethoven, e i compositori che gli hanno permesso di entrare in grande stile nella Storia della Musica scegliendolo come strumento d’elezione Chopin, Liszt, Schumann… – sono tutti nati all’inizio dell’Ottocento.

Così, quando a Berdičev, in Ucraina, l’1 ottobre 1903 viene alla luce Vladimir Horowitz, il più straordinario pianista del secolo scorso, Liszt, per dire, è morto da diciassette anni, Brahms da sei. Sarebbe bastato un piccolo sforzo in più da parte delle Parche e si sarebbero addirittura incontrati.

Bisogna averlo chiaro in mente perché la storia dell’interpretazione pianistica, mettendo tra parentesi la musica dei compositori viventi, nel Novecento è stata molto diversa da quella che ha segnato la musica sinfonica o, ad esempio, il repertorio violinistico. Per il pianoforte non si trattava di confrontarsi con un passato lontano al quale ridare vita: il passato era l’altro ieri, lo sentivi ancora caldo e, soprattutto, ti veniva consegnato in modo chiaro, diretto, dalle mani dei suoi protagonisti. Non serviva studiare testi di storia della tecnica pianistica né interrogarsi, magari con angoscia, su come si dovesse affrontare un autore, un brano, un passaggio: gli interpreti che avevano suonato la musica di Liszt, di Brahms, di Thalberg seduti nella stessa stanza dei compositori, o che ne erano stati addirittura allievi, erano ancora vivi, oppure avevano avuto allievi, o allievi di allievi, che ne tramandavano il segreto in un gioco di vasi comunicanti dove la memoria, come un liquido prezioso, passava da uno all’altro senza che se ne disperdesse una goccia.

Poi, come era giusto che accadesse, le cose sono progressivamente cambiate. Ci si è allontanati dall’Ottocento, si è recuperata molta musica precedente allargando il repertorio disponibile, si è aggiunta la produzione dei compositori vivi e, soprattutto, ci si è interrogati su quale fosse il modo migliore per eseguire oggi la musica del passato, aprendo un ventaglio di possibilità.

Ma quando nel 1985 viene prodotto il documentario Horowitz, l’ultimo dei romantici, filmando il Maestro mentre suona a casa sua, il titolo non allude a una caratteristica del pianista, a una sua inclinazione verso il sentimento o, che so, a esecuzioni particolarmente ricche di languore: Horowitz è stato tecnicamente uno degli ultimi eredi del pianismo del Romanticismo, di una tecnica ma soprattutto di un modo di pensare la musica che rimandava in modo intuitivo, immediato, a un’altra epoca; e fatalmente ciò che ha insegnato ai suoi pochi allievi – ai quali ripeteva che si trattava di “suggerimenti”, non di lezioni – ha trovato un terreno meno fertile per attecchire, in un mondo nel quale abbiamo cominciato a chiederci che cosa cerchiamo nella musica di Chopin o di Schumann, e non soltanto, in modo più ingenuo, a inseguire interpretazioni che fossero come la suonavano loro.

Gioviale, simpatico, sorridente, Horowitz aveva un talento innato strepitoso. A tre anni, come racconta proprio in quel documentario, rompe i vetri di una finestra, ferendosi superficialmente le mani, perché vi suonava sopra ticchettando con le dita. A diciassette si fa notare in occasione dei suoi primi recitals. Prima dei venticinque è un fenomeno ormai mondiale. Certo, la sua vita è tutt’altro che rose e fiori: più volte è vittima di burn out, va fuori di testa e deve interrompere del tutto l’attività concertistica (una volta, per dodici anni!), mantenendo il rapporto con i suoi fan attraverso la produzione di dischi – la CBS gli aveva installato in casa uno studio di registrazione semi-automatico. Ma quando riemerge, ogni volta è un successo, e la sua tecnica pazzesca, la ricchezza della sua tavolozza dinamica, la chiarezza della sua visione espressiva rimangono ancora oggi scolpite come un riferimento ineludibile, e ineguagliabile, per qualunque pianista.

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