Era una cosa che si faceva, alla fine dell’Ottocento: un gruppo di persone veniva travestito, come se si fosse trattato di attori pronti a entrare in scena, e poi lo si disponeva con cura, magari in un salone se non addirittura in un teatro, sistemando per ciascuno la posizione del corpo e la direzione dello sguardo, la luce che lo illuminava o il modo in cui scendeva a terra la gonna, l’inclinazione del cappello o l’orientamento della spada. Si chiamavano tableaux vivants, quadri viventi, e prima del cinema, prima della tv, erano un modo per far apparire vivo ciò che si sarebbe trovato solo su un dipinto – non a caso, a volte erano proprio i pittori che invitavano le persone a posare in quel modo, così da poterne poi fissare l’immagine sulla tela.
Quando nel 1880, in Russia, si decise di festeggiare i venticinque anni di regno dello zar Alessandro II, l’idea di allestire una serie di tableaux vivant sembrò dunque bella, e tutto sommato normale: l’impero russo era gigantesco, andava dall’Europa all’Asia, e metterlo in mostra con alcune scene che illustrassero i diversi luoghi, le diverse culture che ne facevano parte, appariva decisamente sensato.
Ora, i tableaux vivants potevano sembrare noiosi, a guardarli per un po’. Così qualche volta li si accompagnava con della musica. E proprio per un quadro vivente previsto in occasione della grande festa imperiale venne commissionato al compositore Alexander Borodin un breve poema sinfonico, cioè un brano per orchestra che racconta una storia, seguendola passo a passo.
Alla fine, non si sa perché, il tableau vivant non venne allestito. Ma fu un peccato. Perché la musica era straordinariamente efficace – ancora oggi la si suona spesso in sala da concerto – e, soprattutto, era stata pensata come la colonna sonora di qualcosa che poteva sembrare un piccolo film.
Ascoltatela. Ci si trova in una regione desertica dell’Asia centrale, silenziosissima, come suggerisce una nota acuta suonata pianissimo dagli archi per dare l’idea di questo spazio vuoto. In lontananza risuona un canto russo. Dopo qualche istante si sente l’avvicinarsi di una carovana, con cammelli e cavalli evocati dai pizzicati degli archi e una melodia orientale che vi si sovrappone. Che cosa sta succedendo? Un distaccamento militare russo (ecco perché sentite quel canto…), con i propri cavalli, sta scortando alcuni abitanti del luogo (ecco perché ascoltate anche una melodia orientale…), che si muovono a dorso di cammello.
Le tre melodie prima si alternano, poi si sovrappongono con una delicatezza e una naturalezza quasi incredibili, e poi si allontanano, insieme alla carovana. Così le steppe ritornano solitarie, con la lunga nota acuta degli archi, e infine silenziose.
Per carità, Nelle steppe dell’Asia centrale è un pezzo talmente bello che lo si può ascoltare così, senza saperne nulla, come se fosse una musica senza storia. Quando però uno si immagina tutta la scena, beh, se lo gode ancora di più. Non trovate?
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