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Chi era Ottorino Respighi? La storia di un compositore formidabile

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Immaginatevi un musicista con un nome curioso, Ottorino Respighi, che nel 1901 parte da Bologna e se ne va a San Pietroburgo, in Russia. Riempie la valigia di vestiti pesanti, mette nella custodia la sua viola – lo avevano invitato a suonarla, in orchestra – e sale su un treno. In Russia suona quasi tutti i giorni, perché è quello il suo lavoro, ma, poiché è anche un compositore, decide di andare a trovare il più grande insegnante di composizione che ci sia da quelle parti, Nicolai Rimskij-Korsakov, e riesce a studiare con lui, dandoci dentro.

Quando ritorna in Italia, Respighi ha imparato a scrivere per orchestra in modo meraviglioso; ma ha anche preso un gran freddo. Tanto che, quando gli propongono di scendere a lavorare a Roma, un po’ perché l’incarico è prestigioso e un po’ perché il clima della città è particolarmente gradevole, non se lo fa ripetere due volte e arriva di filato nella Capitale.

Qui scopre le antichità, il Colosseo, il Palatino, il Foro Romano. Ma è il paesaggio ad affascinarlo: adora la luce che fa scintillare gli alberi al mattino, il colore della città al tramonto. E così nel 1923 decide di scrivere un pezzo per orchestra, che intitola I pini di Roma, per descrivere le sue impressioni mentre alza gli occhi qua e là per la città.

Pini di Roma - Fontane di Roma
Pini di Roma - Fontane di Roma Di Ottorino Respighi,Riccardo Chailly

Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala proseguono l’acclamata serie dedicata ai grandi compositori italiani. In questo album interamente dedicato a Ottorino Respighi troviamo un’attenta selezione di rarità del primo periodo accostate ai capolavori della maturità, i celebri Pini di Roma e Fontane di Roma.

Prima va a passeggio per Villa Borghese, il grande parco cittadino, e poiché lì è sempre pieno di bambini che giocano decide di inserire nella sua musica la melodia di una delle canzoncine che usavano allora, Oh quante belle figlie Madama Dorè (forse i vostri nonni la sanno ancora). Poi scende a visitare una catacomba, una di quelle sepolture segrete degli antichi Romani, e lo racconta con musica scura, cupa, affidata agli archi gravi – viole, voloncelli, contrabbassi – che rendono perfettamente l’idea del buio, rischiarata solo dalla luce di una tromba. Poi ancora risale sul colle del Gianicolo, dove è pieno di uccellini, e decide che nella sua musica si deve ascoltare anche il canto di un vero usignolo, tanto che lo registra e fa produrre un disco, apposta, che ancora oggi viene consegnato alle orchestra quando vogliono suonare questo pezzo. E alla fine arriva sulla via Appia, che attraversa in modo grandioso antichi monumenti, rovine, spazi aperti, e dunque la sua musica si riempie di bagliori, di energia, e fa quasi pensare a un esercito di legionari in marcia.

La cosa pazzesca è che, per descrivere tutto questo, Respighi non si inventa soltanto belle melodie e accordi raffinati: poiché in Russia ha studiato con il grande Rimksij Korsakov, sa scrivere per orchestra come pochi altri, in quel momento, e dunque la partitura de I pini di Roma si trasforma in un caleidoscopio sonoro, ricchissimo di timbri, di impasti, di effetti orchestrali che lasciano ogni volta a bocca aperta. In un certo senso Respighi lavora come un pittore, mescolando suoni su una tavolozza immaginaria; e per lui alla fine sono più importanti i colori sonori rispetto alle frasi musicali, conta di più il fatto che una melodia sia affidata agli ottoni anziché la scelta delle singole note, e il piacere fisico di ciò che arriva alle orecchie vale più del rispetto delle proporzioni.

Roma è meravigliosa, si sa; ma in Pini di Roma risplende come non le era mai capitato prima.

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Conosci il compositore

Compositore. Appartenente a una famiglia di musicisti, frequentò il liceo musicale di Bologna, dove fu allievo di L. Torchi e di G. Martucci. Da quest'ultimo gli venne l'interesse per le forme sinfoniche e cameristiche, elaborate dai romantici tedeschi e sino allora poco praticate in Italia. Dopo aver conseguito il diploma in violino, R. operò prima in Russia, poi in Germania: studiò a Pietroburgo con Rimskij-Korsakov, da cui derivò la tendenza al descrittivismo e l'abilità nel trattamento dell'orchestra. Nel 1913 iniziò il suo insegnamento nel conservatorio di Santa Cecilia, a cui restò legato fino al 1926. In questo periodo, abbandonata la strada del melodramma con cui aveva iniziato la sua carriera di compositore, egli si dedicò alla creazione dei poemi sinfonici che gli diedero la celebrità: Le fontane di Roma (1916), I pini di Roma (1924), Vetrate di chiesa (1926), Trittico botticelliano (1927), Feste romane (1928). Accanto a queste partiture, che per la brillante fantasia, la smagliante tavolozza orchestrale, il magistero tecnico, sono fra gli esiti maggiori del moderno sinfonismo italiano, se ne collocano altre, in cui R. mise a frutto la sua grande esperienza di trascrittore e di studioso di musiche antiche in uno stile di più chiara tradizione italiana: Concerto gregoriano per violino e orchestra (1921), Concerto in modo misolidio per pianoforte e orchestra (1924), la suite Gli uccelli per piccola orchestra (1927), Antiche arie e danze per liuto, tre suites per orchestra d'archi (1917-31). Il periodo successivo segnò il ritorno di R. al teatro musicale: Belfagor (1922), La campana sommersa (1927), Maria Egiziaca (1932), La fiamma (1934) e l'incompiuta Lucrezia, opere in cui le risorse del più acceso colorismo orchestrale si accompagnano, talvolta, a strutture e forme tradizionali. Della sua produzione ricordiamo ancora: 7 balletti, fra cui La boutique fantasque su musiche di Rossini (1919), Belkis, regina di Saba (1932), Gli uccelli dall'omonima suite (1933), Le jeune homme et la mort su musica di Bach (1946); varie liriche e altre musiche vocali; Impressioni brasiliane (1927) e altri lavori sinfonici; una Sonata per violino e pianoforte (1917), 2 quartetti (il secondo detto Quartetto dorico, 1920) e altre composizioni strumentali da camera.

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