I compositori bravi un lavoro ce l’avevano. Ma erano pur sempre dei servitori, costretti a mangiare in cucina e a seguire i capricci dei loro padroni – in genere nobili, abbastanza ricchi da potersi permettere una piccola orchestra e sufficientemente vanitosi da assumere qualcuno che scrivesse musica fresca per i concerti che si tenevano in casa.
E così, all’inizio del Settecento, era normale che un compositore fosse in cerca di incarichi sempre migliori, per guadagnare un po’ di più, magari per fare musica con orchestre più grandi, o più brave. Quando Johann Sebastian Bach, nel 1724, spedisce i propri Concerti brandeburghesi al Margravio del Brandeburgo, un principe, lo fa dunque perché vorrebbe essere assunto al suo servizio; ma non ha successo e, a quanto sappiamo, in Brandeburgo all’epoca questi brani non vennero mai suonati.
Fu un vero peccato, però, e il bibliotecario del Margravio che li sistemò tra gli scaffali senza guardarli troppo era davvero un asino: i Concerti brandeburghesi sono infatti tra le pagine più importanti, tra le più geniali composte in quegli anni, e Bach quel posto se lo sarebbe senz’altro guadagnato se la sua musica fosse stata eseguita.
La cosa bella è che la partitura si è conservata in modo perfetto: dunque quei Concerti li possiamo ascoltare noi, al posto del Margravio. Ma, poiché sono sei, bisogna decidere da quale partire; e io vi suggerisco di cominciare dal Terzo.
Sia chiaro: non lo scrivo per fare il guastafeste. Se volete cominciare dal primo, fate pure. Il punto è che i Concerti brandeburghesi sono piuttosto diversi uno dall’altro, e il Terzo è quello nel quale si fa un bellissimo gioco di squadra, e si vince tutti insieme.
A suonare ci sono infatti tre violini, tre viole, tre violoncelli; e poi ci sono un contrabbasso e un clavicembalo che realizzano l’accompagnamento (per i più precisi: quello che usava all’epoca si chiama basso continuo). Non ci sono dunque dei veri e propri solisti, come succede in altri Concerti: c’è un lavoro di gruppo che viene fatto da questi nove musicisti, i tre violinisti, i tre violisti, i tre violoncellisti, che si passano la palla in modo continuo, rapido, saltellante; e lo fanno con un ritmo talmente incalzante e brioso che fanno pensare a un pezzo swing, cioè a una musica che sarà inventata all’inizio del 1900, quel tipo di jazz caldo e allegro che si ascolta, ad esempio, ne Gli aristogatti, giusto per capirci.
L’altra stramberia del Terzo concerto brandeburghese è che, anziché avere tre movimenti come gli altri, ne possiede solo due. Entrambi con l’indicazione Allegro, e dunque veloci (per i musicisti Allegro non è il contrario di Triste: è il contrario di Lento). E in mezzo, per separarli, per far riprendere fiato sia agli interpreti sia agli ascoltatori, ci sono solo due accordi, due semplici accordi, che durano pochi secondi e, a suonarli così come sono, fanno persino ridere. Per questo ormai gli interpreti si sono convinti che in quel punto bisogna improvvisare un po’, bisogna arricchire il discorso, prendere spunto da quello che Bach ha annotato e poi inventare, esattamente come fanno i jazzisti. Dunque, anche lì, dove in genere è previsto qualcosa di lento e tranquillo, questa musica si mette a saltellare, in modo sorprendente, perché se si improvvisa viene fuori ogni volta una cosa diversa.
E sapete a chi piaceva da matti il Terzo concerto brandeburghese? A Igor Stravinskij, il più geniale compositore del XX secolo, che adorava frugare nella musica del passato e qualche volta ne rubava un po’ di note, per poi rimontarle e inserirle nelle proprie partiture. Con il materiale preso in prestito da qui, ad esempio, Stravinskij ha composto il meraviglioso Dumbarton Oaks; e, se siete davvero curiosi, quello dovrebbe essere il vostro prossimo ascolto.
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