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Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 di Beethoven raccontato ai bambini

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023

Non è che fosse sempre arrabbiato, Beethoven. Per carità, aveva un caratterino tutto suo, e infatti traslocava in continuazione, con il pianoforte eccetera, perché litigava con i vicini, insultava i padroni di casa o semplicemente trovava nell’appartamento qualcosa che non gli piaceva – a Vienna, per capirci, cambiò casa più di trenta volte.

Ma non era sempre arrabbiato, questo no.

E allora perché quando si pensa a Beethoven ci viene in mente un compositore scontroso, intrattabile, oltre che decisamente spettinato? Beh, un po’ perché un pittore gli fece un ritratto mentre il poveretto aveva dei terribili dolori alla pancia, che lo spingevano addirittura ad alzare il pugno verso il cielo per la sofferenza, e quel quadro diventò poi famosissimo; e un po’ perché la sua musica, che spesso è costruita su ritmi incalzanti e temi duri, forti, qualche volta persino aggressivi, in genere ci dà l’idea di un uomo in lotta perenne contro il mondo.

C’è però un brano che permette di scoprire un altro Beethoven, del tutto diverso da quello che di solito ci immaginiamo. Un Beethoven gentile, mite, addirittura indifeso. Un Beethoven che sembra aver scritto quel pezzo per far sapere che anche lui, ogni tanto, aveva bisogno di coccole.  È il suo Concerto per pianoforte e orchestra n. 4, una partitura lunga e importante nella quale, come dice il titolo, ci sono un solista, che suona il pianoforte, e un’orchestra, che un po’ si alterna e un po’ si sovrappone a lui.

Piano Concertos Nos 4 and 6
Piano Concertos Nos 4 and 6 Di Ludwig van Beethoven

Con i Concerti per pianoforte n. 4 e op. 61a di Beethoven, quest’ultimo trascritto dal compositore stesso dal suo Concerto per violino, Gianluca Cascioli, Riccardo Minasi e l’Ensemble Resonanz presentano due pietre miliari della letteratura pianistica, basando la loro interpretazione su un’intensa ricerca tra le fonti negli archivi del Musikverein di Vienna e su note manoscritte di Beethoven. Ne risulta una lettura alternativa, con il ruolo del pianoforte del Concerto n.4 ancora ancora più vario e virtuositico. Un Beethoven inaspettato.

Ora, poiché si trova di fronte a una cinquantina di persone che gli suonano intorno, in un concerto per pianoforte e orchestra il solista in genere deve farsi valere, essere tosto, mostrare i muscoli; e infatti nei primi Concerti di Beethoven succede proprio così, con scontri, tuoni e fulmini musicali che si scatenano tra pianista e orchestra. È normale che accada, ed è anche bello, spettacolare, perché in fondo per il pubblico è come assistere a una sfida sportiva, magari addirittura a una battaglia.

Qui invece, nel Quarto concerto, il solista si trova a suonare frasi tenere, dolci, che sembrano una confessione sussurrata e non certo un grido prima di lanciare un attacco. Non c’è il senso della sfida. Non ci si prende a cornate.

Ascoltate ad esempio il modo in cui finisce la cadenza del primo movimento, cioè il momento nel quale l’orchestra sta zitta per lasciare posto al pianoforte: è tutto un fiorire di trilli, cioè di tremolare tra note, con leggerezza, come se si volesse dare un suono a una manciata di foglie scosse da un vento leggero. Oppure ascoltate il secondo movimento, l’Andante con moto, dove l’orchestra suona un tema potente, imperioso, e il pianoforte sembra non farci caso e anzi dà l’impressione di girarsi dall’altra parte, chiudendosi in un’atmosfera intima, raccolta, affettuosa, fino a che l’orchestra si lascia convincere, rinuncia al proprio piglio eroico e per così dire si accovaccia vicino al pianoforte, continuando a suonare il proprio tema ma togliendogli di dosso qualunque traccia di aggressività.

Se ci fate caso, se lasciate che la musica vi arrivi al cuore, al cervello, vi accorgerete che davanti a voi avete un Beethoven pacioccone, incapace di far male a una mosca, che vi chiede di abbracciarlo, almeno nei vostri pensieri. E voi magari fatelo, tenetelo stretto per un pochino, insieme alla sua musica: vi assicuro che sarà un’esperienza emozionante.

Immagine tratta dal libro "Il mio piccolo Beethoven. Libro sonoro di Emilie Collet, Gallucci, 2016"

I libri per conoscere Beethoven

Il mio piccolo Beethoven. Libro sonoro

Di Emilie Collet | Gallucci, 2016

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Di P. Alessandro PolitoLaura Pederzoli | Curci, 2020

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Conosci il compositore

Compositore tedesco. La formazione musicale e culturale. Dei suoi antenati, contadini fiamminghi, si hanno notizie che risalgono al sec. xvi; il nonno Ludwig, forse il primo musicista della famiglia, aveva lasciato nel 1731 la terra d'origine per stabilirsi a Bonn come strumentista della cappella arcivescovile; anche il figlio di lui, Johann (il padre di B.), fu stipendiato come tenore nella stessa cappella. Le ristrettezze economiche e i disordini psicologici di Johann, che finì alcoolizzato nel 1792, segnarono l'infanzia di B. Dopo un tentativo del padre di lanciarlo come ragazzo prodigio (tentativo che fallì), egli iniziò la sua vera e propria educazione musicale sotto la guida di C.G. Neefe, un seguace dello stile «sentimentale» di Ph.E. Bach, che gli aprì ampie prospettive non solo sul mondo musicale, ma anche su quello letterario e filosofico. Altrettanto importante per il musicista fu l'arrivo a Bonn, nel 1784, del giovane arcivescovo Maximilian Franz, che trasformò radicalmente l'atmosfera stagnante della cittadina, introducendo idee nuove e metodi di governo «illuminati» e fondando, fra l'altro, un'università che fu frequentata per qualche tempo anche da B. La dimestichezza con la famiglia von Breuning, dove il giovane musicista entrò come insegnante di pianoforte, lo metteva intanto a quotidiano contatto con discussioni e letture di poeti e filosofi contemporanei, da Kant a Goethe, da Schiller a Herder. L'arcivescovo lo prese al suo servizio come organista nel 1784, e tre anni dopo gli concesse di recarsi a Vienna per perfezionarsi sotto la guida di qualche maestro illustre; ma il musicista dovette interrompere presto il soggiorno a causa della morte della madre, e non è neppure certo che abbia veramente potuto, in quell'occasione, avere contatti con Mozart.Il trasferimento a vienna e l'affermazione artistica. Nel 1792, sempre stipendiato dall'arcivescovo, si recò di nuovo a Vienna per studiare con Haydn, che aveva incontrato a Bonn nello stesso anno e al cui giudizio aveva sottoposto alcune sue composizioni. Fra le opere di questo periodo giovanile spicca la Cantata in morte dell'imperatore Giuseppe II (Kantate auf den Tod Kaisers Josephs ii, 1790), stupenda celebrazione musicale del mito settecentesco del sovrano illuminato. A Vienna B. rimase fino alla fine dei suoi giorni, anche perché i suoi legami con Bonn furono troncati dall'invasione delle truppe francesi, che costrinsero alla fuga Maximilian Franz. Ben presto il musicista chiamò con sé a Vienna gli ultimi membri della sua famiglia, i fratelli Carl e Johann, che avviò a buone attività borghesi, ma con i quali ebbe sempre rapporti assai difficili, sia per il loro mediocre egoismo, sia per la sua tendenza a intromettersi con intransigente moralismo nei loro affari privati.A Vienna B. ricevette l'insegnamento di Haydn e del potente Salieri, ma trovò una solida guida anche nel contrappuntista Albrechtsberger; d'altra parte la sua situazione, persi i contatti con Bonn, non era più tale da permettergli di dedicarsi tranquillamente a questo apprendistato. La sua bravura come pianista e soprattutto la sua fama di improvvisatore non tardarono, comunque, ad aprirgli le porte della nobiltà viennese. Nell'Europa di quegli anni le possibilità di lavoro di un musicista non erano più limitate all'impiego fisso presso una cappella o alla carriera melodrammatica: nuove prospettive erano dischiuse dal mecenatismo di aristocratici illuminati che nella promozione dell'arte – e non solo nel suo possesso – vedevano un proprio dovere morale e insieme un'occasione di prestigio. L'appoggio di questi ambienti era un indispensabile trampolino di lancio per l'attività nelle pubbliche sale da concerto, che cominciavano a moltiplicarsi, e per i lucrosi rapporti con le grandi case editrici musicali, allora in pieno sviluppo. B. colse l'opportunità offerta da questa nuova situazione con l'entusiasmo di chi si sente portatore di un grande messaggio umano. Egli era profondamente consapevole, come uomo di cultura, della propria funzione sociale, una funzione che gli dava il diritto di trattare da pari a pari con i suoi stessi mecenati. Il ventennio compreso fra il 1795 (anno del suo primo concerto pubblico) e il 1815 (quando, a causa della sordità, fu costretto a interrompere ogni attività di pianista e direttore) costituì per B. il periodo di maggior fortuna mondana ed economica. Godette, in quegli anni, della protezione di personaggi autorevoli come il principe Lobkowitz, il principe Lichnowsky o l'arciduca Rodolfo, fratello dell'imperatore, alcuni dei quali non esitò, in qualche occasione, a trattare con orgoglioso disdegno.Gli ideali e le tensioni interiori. Nello stesso periodo B. cominciò a essere tormentato dalla sordità, i cui primi sintomi si manifestarono intorno al 1798 e che progredì, in seguito, fino alla completa atrofia del nervo acustico. La consapevolezza della sventura portò il musicista a terribili crisi di sconforto, di cui abbiamo testimonianza, fra l'altro, nel cosiddetto «testamento di Heiligenstadt» (1802). Erano crisi dalle quali B. riusciva a emergere grazie al suo naturale ottimismo, via via sublimato in amore ideale per l'intera umanità; ciò non toglie che esse contribuirono a inasprire i suoi già difficili contatti sociali. In particolare, ne vennero gravemente compromessi i suoi rapporti con le donne: nonostante i ripetuti tentativi e le speranze sempre risorgenti (ma l'identificazione dell'«immortale amata», alla quale egli indirizzò una memorabile lettera nel 1812, è ancora un problema irrisolto), B. non riuscì mai a concretare quei vincoli d'affetto familiare nella cui sacralità egli aveva una fede assoluta e che cantò, fra l'altro, nell'opera Fidelio.La sua situazione di solitudine, tuttavia, non può essere spiegata soltanto alla luce di queste circostanze biografiche e psicologiche. B., infatti, è fra i primi musicisti a vivere pienamente il dramma del distacco fra l'artista e la società; se il modello di cultura offerto dall'aristocrazia non era più sufficiente a incarnare gli ideali dei tempi nuovi, tanto meno lo erano i modelli espressi dalla nascente borghesia commerciale, per la quale B. nutriva il più profondo disprezzo. Gli ideali umanitari tardo-illuministici, ai quali si era formato e nei quali credeva, erano progressivamente, inesorabilmente smentiti dalla realtà sociale e politica: e proprio da questo conflitto senza rimedio nascono tutte le tensioni, tutti i drammi espliciti e impliciti della sua biografia e della sua stessa concezione musicale. Gli ultimi avvenimenti della vita di B. ruotano attorno al problema delle controversie per la tutela del nipote Carl, figlio del fratello omonimo deceduto nel 1815, che il musicista avrebbe voluto strappare alla tutela della madre, da lui ritenuta indegna della missione di educatrice. I contatti del compositore col mondo erano ormai affidati solo ai cosiddetti quaderni di conversazione, sui quali i suoi interlocutori scrivevano ciò che volevano comunicargli. Dei 400 quaderni riempiti dal 1818 al 1827, solo 137 furono conservati; gli altri furono distrutti dal fedele Schindler.Le opere nel loro insieme. Sotto l'aspetto della quantità, e paragonato a quelli di Mozart o di Haydn, il lascito di B. compositore appare esiguo. Il catalogo di Georg Kinsky e Hans Halm (Das Werk Beethovens, bibliographisches Verzeichnis, Henlo, München-Duisburg 1955) registra 138 composizioni con numero d'opera, cui se ne aggiungono 205 senza numero di catalogazione (Werke ohne Opuszahl = WoO: brevissimi pezzi o frammenti per pianoforte, elaborazioni di melodie popolari, minuscole invenzioni cameristiche, spesso semplici abbozzi e appunti su pentagramma). La quantità limitata significa però concentrazione e densità: B. è il primo compositore moderno che indichi la via seguita tendenzialmente dai grandi autori romantici, anche se il suo stile è troppo personale per adattarsi alle categorie stilistiche segnate dalle poetiche del romanticismo musicale e da quelle, non opposte ma certo diversamente disegnate, della classicità viennese. È la via che, nell'ambito di un genere o di una forma, condensa l'energia creativa e l'emozione poetica in pochi esempi, tutti memorabili, tutti altamente individualizzati, nessuno di routine. Ciò vale soprattutto per le partiture sinfoniche o comunque di vasto organico: 9 sinfonie, 5 concerti per pianoforte e orchestra, un solo concerto per violino, 2 messe, un solo oratorio, una sola opera teatrale. Impressionante, sotto l'aspetto quantitativo, il confronto con Mozart, che scrisse 8 tra oratori e cantate, 17 messe compreso il Requiem, 20 opere teatrali, 41 sinfonie, 23 concerti per pianoforte e orchestra, 5 concerti per violino e orchestra, oltre a 2 sinfonie concertanti. La volontà beethoveniana d'individualizzare lo sforzo compositivo addensando le energie segna davvero una svolta, e orienta in tal senso la creatività di Mendelssohn, Schumann, Brahms. Un dettaglio che sottolinea questa tendenza a individualizzare le composizioni in senso poetico è la frequente presenza di sottotitoli; essa esige però precise distinzioni. Nel catalogo di Haydn, soprattutto nelle sinfonie, molti sono i sottotitoli, ma quasi sempre inventati dagli editori come incentivo pubblicitario. Nel catalogo di Mozart i rari sottotitoli si riferiscono al dedicatario o alle caratteristiche d'organico, e perciò sono irrilevanti come suggestione poetica ed emotiva. I sottotitoli applicati alle composizioni di B. vanno presi invece molto più seriamente: sono spesso voluti dallo stesso autore (per es. la Terza Sinfonia «Eroica»), più di rado inventati da altri. Talora incontriamo casi dal carattere misto, come la Sonata op. 27 n. 2 che, al pari della n. 1, fu definita dall'autore «quasi una fantasia», mentre il sottotitolo «Al chiaro di luna» fu un'iniziativa del poeta e critico musicale Ludwig Rallstab, destinata a riversare su quel celebre e bellissimo lavoro fantasticherie interpretative in eccesso. In ogni caso, anche i sottotitoli spurii o posticci non furono esplicitamente disconosciuti da B., poiché accentuavano pur sempre l'individualizzazione della singola opera, e l'individualizzazione dava rilievo al carattere «forte» della composizione nell'ambito di una produzione complessiva, misurata e meditata. Diversa considerazione vale per le opere pianistiche e cameristiche: le sonate per pianoforte e per vario organico, i trii, i quartetti e i quintetti, i Lieder, sono in numero cospicuo, e raggiungono un'estensione quantitativa di misura «mozartiana». Sviluppo del linguaggio nei generi. Nell'ambito della sua professione musicale, B. nacque pianista, e come tale fu in gioventù molto apprezzato. Perciò i suoi primi lavori, almeno sino al 1795, furono in massima parte scritti per lo strumento a tastiera. Tra il 1790 e il 1800 il suo interesse cominciò a volgersi anche verso altri generi, e nacquero così l'importante Cantata per la morte di Giuseppe II, il primo gruppo di quartetti per archi (i 6 dell'op. 18) e, proprio sulla soglia del nuovo secolo, la Prima Sinfonia. Nel periodo centrale, tra il 1800 e il 1815, la creatività dell'autore si orientò soprattutto verso le grandi forme del genere sinfonico e concertante. Fu in quegli anni che nacquero 7 delle 9 sinfonie, dalla Seconda all'Ottava; gli ultimi tre concerti per pianoforte e orchestra, quelli più individualizzati, più liberi e originali formalmente e dalla più viva energia poetica; la prima delle due messe e l'unico oratorio; l'unica opera teatrale compiuta, frutto di tormentata elaborazione. Certo, a quel quindicennio appartengono anche memorabili sonate pianistiche, i 2 maggiori trii con pianoforte (gli unici importanti) e 3 quartetti per archi (la tripartita op. 59), ma la parsimonia è evidente, così come è evidente il peso relativamente minore che quei capolavori ebbero nella creatività beethoveniana durante la fase centrale, rispetto alle grandi concezioni sinfoniche o al progetto operistico. Sviluppo del linguaggio negli stili. È un presupposto diffuso, pur se mai codificato in termini teorici, che siano individuabili nel lascito creativo di Beethoven tre fasi, determinanti lo sviluppo di una poetica musicale e di uno stile compositivo. Tale visione è discutibile qualora si traduca in una serie di dettagliati schemi classificatori in cui far entrare questa o quella composizione, ma possiamo accettarla per ciò che essa ha di vero, poiché si adatta a una morfologia generale dello stile che ciascun artista veramente grande sceglie, delinea, arricchisce e perfeziona nelle proprie opere. C'è sempre una fase iniziale d'apprendistato e di ricerca di un proprio stile originale, e la via all'originalità, quasi concessa dall'alto, è tanto più sicuramente rintracciata quanto più l'apprendistato è severo, rigoroso e fedele ai modelli. La fase successiva è quella in cui l'artista, ormai in possesso di uno stile proprio e riconoscibile, si assicura un pubblico, vasto o esiguo poco conta, ma comunque chiaroveggente e convinto; questa fase centrale può coincidere con il vertice del successo. L'ultima fase è quella in cui l'artista crea quasi soltanto per se stesso, semplifica, raggiunge l'essenziale, guarda oltre il proprio orizzonte storico. Il «primo stile» beethoveniano è legato con forza ed evidenza a Mozart e soprattutto a Haydn, accentuando anzi, dei due maestri del classicismo viennese, lo sfolgorìo degli effetti esteriori, sicché si può parlare di un «manierismo» haydniano e mozartiano fondato spesso su vere e proprie citazioni, nel quale le invenzioni nuove e impreviste (per es. l'atmosfera che domina il tempo anomalo, «in più», del Quartetto op. 18 n. 6. «La malinconia»: una pagina da B. maturo) suonano come strani preannunci. Nella seconda fase, lo stile di B. si arricchisce immensamente e quasi repentinamente di connotati aggressivi, chiaroscurali e patetici, giungendo ai limiti di un autentico romanticismo musicale, convergendo verso Weber e prefigurando Schumann, Liszt, Chopin, persino Brahms (questo, soprattutto nella musica da camera). Il tardo stile beethoveniano è metastorico o atemporale: più che affacciarsi al futuro (a Wagner, che tributò un vero culto alla Settima e alla Nona Sinfonia), quello stile si solleva al di sopra, ad altezze metafisiche, oppure sonda metafisiche profondità. Alla radice di questo divenire è il dualismo dello spirito beethoveniano: da un lato, la tendenza alla musica assoluta, ossia a un linguaggio musicale che si nutre soltanto di sé e ha in sé la propria necessità formale ed espressiva, sulla linea del classicismo viennese e dei canoni di simmetria, di chiarezza e di rapporti tonali consolidati dai capolavori haydniani e mozartiani; dall'altro, un'energia dirompente, una dialettica di princìpi opposti e spesso in tragica collisione, ciò che indusse il poeta viennese Franz Grillparzer (che avrebbe dovuto scrivere per lui il libretto di una Melusine mai realizzata) a parlare di eterna incompiutezza di B. Dove ciò prevale, la forma si spezza e nuove forme nascono: ne sono esempi la Sonata op. 27 n. 2 «Al chiaro di luna», il Quartetto op. 131, la Nona Sinfonia. I limiti cronologici tra l'una e l'altra fase di stile non possono essere che approssimativi: tra la prima e la seconda, il 1800, anno in cui si conclude la prima serie dei quartetti per archi (l'op. 18) e nasce la Prima Sinfonia; tra la seconda e la terza, il 1814, con l'Ottava Sinfonia e la versione definitiva di Fìdelìo. Non in tutti i generi né in tutte le forme in cui B. s'impegnò sono visibili le tre fasi stilistiche e il dualismo tra classicismo formale di eredità viennese e dialettica di energie contrastanti orientata in senso romantico; esse appaiono con evidenza nei settori fondamentali della sua opera, cioè nelle sinfonie, nelle sonate per pianoforte, nei quartetti per archi e nella faticosa elaborazione dell'opera teatrale (Fidelio).Il lascito sinfonico. Nel sinfonismo beethoveniano convergono tre elementi: la pura meditazione in vista dell'assoluto musicale, l'eroico che tende al conflitto tragico, l'incomprimibile vitalità «fisica», danzante o fluente come un fiume, spesso colorata d'ironia e di divertimento. Sotto l'aspetto tecnico. B. usa organici orchestrali poco numerosi, sobri e non particolarmente variegati, malgrado i potenti effetti che essi misteriosamente producono. La Prima Sinfonia in do maggiore op. 21 (1800) è un bell'esempio di classicismo viennese, ma nuovo è lo scherzoso inizio del primo tempo, che lascia incerta la tonalità, e quello del Finale, che lascia incerti il tempo e il ritmo. La Seconda in re maggiore op. 36 (1803) è una partitura vivace, piena di echi di marce e fanfare militari, in cui l'uso delle modulazioni si fa audace. La Terza in mi bemolle maggiore op. 55 «Eroica» (1805) doveva essere originariamente dedicata a Napoleone, eroe della rivoluzione, ma quando questi si proclamò imperatore B. se ne indignò e dedicò la sinfonia «al sovvenire di un grand'uomo». Le temerità tonali del primo tempo, al limite della dissonanza, scandalizzarono il pubblico di allora; il secondo tempo, Marcia funebre, fu il modello di simili invenzioni tragico-elegiache care alla musica romantica. La Quarta in si bemolle maggiore op. 60 (1807) fu definita, per la sua limpida serenità dai toni fiabeschi, un delicato elfo in mezzo a due giganti nordici, ossia tra le poderose architetture tragiche della Terza e della Quinta. La Quinta in do minore op. 67 (1808), opera-emblema del suo autore, collocata esattamente al centro del suo arco creativo, colpisce per l'inesorabile necessità «kantiana» con cui il martellante tema che apre il primo tempo costruisce un serrato discorso logico, e per la novità formale con cui il demoniaco terzo tempo (Scherzo) si unisce al Finale glorioso senza soluzione di continuità. La Sesta in fa maggiore op. 68 «Pastorale» (1808), la Settima in la maggiore op. 92 (definita da Wagner «apoteosi della danza»: 1813) e la piccola Ottava in fa maggiore op. 93 (1814) sono monumenti di serena vitalità, appena adombrata da nubi, e creano un teso contrasto con la Nona in re minore op. 125 (1824), capolavoro del tardo stile, estasi dinanzi al mistero dell'assoluto, la cui clamorosa novità formale è il Finale con voci sole e coro sul testo dell'ode Alla gioia (An die Freude) di Friedrich Schiller. Potenza di stile tragico è presente in altre grandiose partiture sinfoniche, fra cui le ouvertures Coriolano op. 62 (1807) e Egmont op. 84 (1810). Modelli per i musicisti romantici e vertici artistici nel loro genere sono le 7 composizioni per strumento solista e orchestra, vale a dire: i 5 concerti per pianoforte e orchestra (op. 15, 19, 37, 58, 73), quello per violino e orchestra op. 61, e il Triplo concerto per pianoforte, violino o violoncello op. 56.Il pianoforte e la musica da camera. Con le 32 sonate, B. dedicò al pianoforte un monumento poderoso, di alto rilievo nella storia di questo strumento. Spiccano fra le altre l'op. 13 «Patetica», la già citata op. 27 n. 2 «Al chiaro di luna», l'op. 53 «Aurora» o «Waldstein», l'op. 57 «Appassionata». Le ultime 5 sonate (op. 101, 106, 109, 110 e 111) salgono alle altezze metafisiche della Nona Sinfonia e degli ultimi quartetti. Belle, ma spesso convenzionali, le 10 sonate per violino e pianoforte e le 5 per violoncello e pianoforte. Lo stesso si dica degli 8 trii per violino, violoncello e pianoforte, di cui due soltanto raggiungono altezze di stile: l'op. 70 n.?1 «Gli spettri» e l'op. 97 «L'arciduca». Più modesti i quintetti, i trii per archi, i quartetti con pianoforte. Di rilievo ancor maggior che non le 32 sonate pianistiche nel loro insieme sono i 16 quartetti per archi, la cui composizione è scandita in tre fasi nettamente staccate: i 6 dell'op. 18 (1798-1800) appartengono al primo stile; a quello centrale i 3 quartetti op. 59, ricchi di colore quasi romantico ma tradizionali nella forma; gli ultimi cinque (op. 127; op. 130, cui si aggiunge la Grande fuga op. 133; op. 131; op. 132; op. 135), scritti tra il 1822 e il 1826, sono, forse ancor più che la Nona Sinfonia, il punto di massimo avvicinamento all'assoluto e alla suprema altezza dell'arte pura. Nel genere cameristico, meritano menzione due opere tra loro lontane: il leggiadro Settimino in mi bemolle maggiore op. 20 (1800) e le poderose e virtuosistiche 32 Variazioni in do minore per pianoforte (1806).Il teatro e la musica vocale. Gli 83 Lieder scritti da B. non raggiungono, nel loro insieme, la grazia intellettuale di quelli di Mozart né la grandezza assoluta di quelli di Schubert e Schumann; sono tuttavia raffinati e ricchi di novità imprevedibili di natura armonica. Di rilievo è il ciclo All'amata lontana (An die ferne Geliebte) op. 98 (1816). A parte il tentativo abortito di scrivere un'opera su testo di Emanuel Schikaneder, Il fuoco di Vesta (Vestas Feuer, 1803), l'unico lavoro teatrale di B., come si è detto, resta Fidelio, su testo di Joseph Sonnleithner: tre versioni successive di questo dramma dell'amor coniugale, la prima nel 1805 frustrata dall'insuccesso, la seconda del 1806, la terza (su testo di Georg Friedrich Treitschke) del 1814, finalmente applaudita. Nella musica sacra, l'oratorio Cristo sul monte degli ulivi (Christus am Ölberg, 1803-04) è lavoro modestissimo, poi deprecato dello stesso autore. La Messa in do maggiore op. 86 (1807) è un ottimo lavoro convenzionale. La Missa solemnis in re maggiore op. 123 (1823), vicinissima nel tempo alla Nona Sinfonia, è invece una delle composizioni sacre più ricche di visionaria fantasia in tutta la musica d'Occidente. Opera minore, ma molto interessante, è la Fantasia in do minore per pianoforte, coro e orchestra op. 80 (1808), il cui tema principale preannuncia quello dell'ode Alla gioia nella Nona Sinfonia.Altre composizioni. Accanto alle opere maggiori o comunque imponenti, hanno notevole pregio artistico moltissimi brevi pezzi pianistici, fra cui le deliziose Bagatelle; danze, senza pretese ma mai insignificanti, scritte per varie occasioni mondane; pezzi per banda; soprattutto, raffinate elaborazioni di canti popolari scozzesi e irlandesi.

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