In una delle più belle piazze della mia città, Catania, ci sono quattro lampioni di bronzo. Alla base di ciascun lampione è raffigurata una delle leggende più significative della mia splendida e decaduta terra: le storie di Gammazita che si buttò nel pozzo, del paladino Uzeta, dei Fratelli Pii, di Cola che si fece pesce.
Ha ragione Italo Calvino a scrivere, nella prefazione alle Fiabe Italiane, che le fiabe sono vere. Sono vere e scorrono ancora tra noi, come l’Amenano, fiume ormai interrato che percorre Catania, rivedendo la luce in luoghi inaspettati, non sempre nobili, come tombini o foci, ma a volte in spettacolari grotte e tra le naiadi e i tritoni di fontane barocche, in un tempo che sembra aver voltato le spalle al fantastico nel quotidiano, per ridurlo a escapismo, a evasione dalla realtà. Le fiabe e il mito emergono nelle serie televisive, continuano a vivere, mutilate, nelle tante riduzioni poco meditate che pullulano tra gli scaffali. In questo contesto, l’anniversario dei cento anni di Calvino, l’autore italiano più rappresentativo tra quelli che hanno fatto del fantastico tanta parte della loro cifra stilistica, è una benedizione editoriale, perché si stampa e si ristampa materiale prezioso per riflettere sulla fiaba, e per goderne. Lo scoiattolo della penna, oggi, sarebbe uno scoiattolo ben anziano, ma ancora agile e capace di balzi straordinari. Calvino, come Cosimo, il protagonista del suo Barone Rampante, non ha ancora toccato terra, nemmeno da morto, e ancora sorvola pensieri e riflessioni dei suoi lettori.
Una volta a Messina c'era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. Cola Pesce è un bambino a cui piace nuotare in mare dove tra le onde regna l'illusione di liberarsi dallo stato solido del mondo. L'illusione diventa realtà perché dopo un incantesimo scaturito dalla maledizione della madre, o forse dalla benedizione degli dei, Cola Pesce muta in un essere semiumano, come una sirena o un centauro.
Ora che il libro è finito, posso dire che questa non è stata un’allucinazione, una sorta di malattia professionale. È stata piuttosto una conferma di qualcosa che già sapevo in partenza, quel qualcosa cui prima accennavo, quell’unica convinzione mia che mi spingeva al viaggio tra le fiabe; ed è che io credo questo: le fiabe sono vere.
In questa opera di ristampa e commemorazione si inserisce questa nuova edizione, per Mondadori, sotto forma di albo illustrato, della fiaba popolare siciliana Cola Pesce, nella versione calviniana dalle Fiabe italiane e con le illustrazioni di Simona Mulazzani.
La storia è nota ai più, ed è quella di un giovane, Cola, che maledetto dalla madre perché abile nuotatore, non vorrebbe mai tornare a terra – luogo del dovere, del lavoro, potremmo pensare, e forse non sbaglieremmo – ma preferisce rimanere nello spazio dell’inesplorato, dell’avventura: il mare. La maledizione della madre, dettata da esasperazione per questo figlio scriteriato, va a segno e Cola sviluppa «dita palmate come un’anatra e la gola da rana». Per questa sua sete di avventura, Cola diventa pesce, un po’ maledizione perché escluso dal consiglio degli uomini, un po’ benedizione perché fornito degli strumenti adatti alla sua esplorazione. Escluso dagli uomini, perché diverso, per gli uomini si sacrificherà, con un epilogo differente in ogni versione della fiaba, che non racconto perché chi non la conoscesse riesca a godersi la trama.
L’illustrazione di Simona Mulazzani è raffinata ma quasi popolaresca, quasi da carretto siciliano, e si attaglia molto bene allo spirito popolare dell’opera. In particolare, in alcune tavole in cui si vede Sicilia dall’alto, l’isola è raffigurata quasi come si faceva (e ancora si fa) sugli strofinacci da cucina venduti nelle bancarelle dei souvenir, con un effetto vivacità e immediatezza che sostiene la natura di Cola Pesce come racconto antico, quasi raccolto dalla voce degli anziani.
Il mare, azzurro in superficie, fondo e nero, come una lavagna, nelle profondità dopo la trasformazione di Cola, è popolato da creature colorate, mezze arboree e mezze animali, o misteriosi polpi dai sei occhi, animali strani, simili a quelli cui siamo abituati ma non uguali, come ci si aspetterebbe da un luogo, il fondo del mare, che rimane ad oggi il meno esplorato: perché solo Cola ha il privilegio di nuotare come un pesce, e noi no, per quanto dotati di scafandri e sottomarini.
Nonostante la vivacità da racconto delle nonne, Calvino non ha raccolto le Fiabe Italiane dalla voce delle persone, come fecero altri grandi collatori della fiaba popolare. Italo Calvino ha avuto, in ritardo di cent’anni, per la tradizione fiabesca italiana lo stesso ruolo che Jacob e Wilhelm Grimm hanno avuto per quella tedesca, o Aleksandr Nikolaevič Afanasjev per quella russa, ma a differenza dei grandi etnografi dell’Ottocento, il lavoro di raccolta operato dallo scrittore ligure non fu dalla viva voce delle persone, ma dalla comparazione dei testi. In particolare, la versione di Colapesce delle Fiabe Italiane dipende da quella presente nell’opera del grandissimo etnografo siciliano Giuseppe Pitrè. Italo Calvino ebbe il merito e l’onere di rendere la voce delle fiabe una voce unica, letteraria.
Le Fiabe Italiane sono un patrimonio di storie da cui attingere per ricostruire la tradizione del nostro Paese. Forse, a oggi, si leggono troppo poco, la fiaba è materiale difficile, perché, come il mito e la tragedia, porta dentro componenti archetipici della nostra coscienza collettiva e spesso sono duri e aspri: d’altro canto anche i Grimm, è assodato, ricamarono sui racconti delle vecchiette per fornire versioni più letterarie, ma anche più digeribili. Grande merito quindi a Mondadori per questo splendido albo, che rende onore alla fiaba e al gesto antico di narrare.
E le altre tre leggende catanesi cui accennavo all’inizio? Sono altre storie, e ve le racconterò un’altra volta. Tanto le storie tornano sempre: non dicevamo che le fiabe sono vere?
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