La narrativa per ragazzi, così come la letteratura tutta, ha una serie di topoi che ritornano e coinvolgono i lettori di tutto il mondo, lettura dopo lettura. Niente paura Little Wood!, riedito in formato tascabile da Terre di Mezzo, centra in pieno il topos dell’estate spartiacque che fa diventare grandi, grazie a un’avventura e grazie all’acquisizione di consapevolezze, che diventano il primo traghettamento verso il mondo adulto. Questo romanzo è infratti perfetto per la fascia d’età che va dai dieci ai tredici anni e fa riecheggiare dentro sé la dolcezza e il conflitto di quel tempo in cui non si è più bambini ma non si è ancora del tutto ragazzi.
Per Genie è l’estate delle scoperte. Scopre che si può sopravvivere lontano da New York (in campagna e senza internet!). Scopre che suo nonno fa un mucchio di stranezze: non esce mai di casa, porta gli occhiali da sole tutto il giorno, e ha una stanza segreta dove nessuno può entrare. Ma perché? Scopre che gli uomini della sua famiglia, raggiunti i quattordici anni, devono superare una prova. E suo fratello Ernie sta per compierli. Quello che Genie ancora deve scoprire è cosa significa “paura” e quanto sia coraggioso ammettere di averne.
Anche se erano venuti per commettere un rapimento di uccellini, non poterono fare a meno di dare un’occhiata tutt’intorno. La casa, a quanto riuscivano a vedere, era vuota... vuota di persone quanto meno. Non c’erano mobili, né quadri, niente. Solo legno tutto coperto di chiazze bianche e nere per la cacca degli uccelli. E quell’albero, davvero, era assurdo. Come faceva un albero a crescere nel bel mezzo di una casa?
Una penna sagace come quella di Jason Reynolds, autore per ragazzi pluripremiato, non poteva che tirare fuori una trama ricca di mistero, al tempo stesso spassosa e intensa, con una serie di dettagli a tratti buffi e a tratti enigmatici, in grado di accompagnare lettori e lettrici in una storia scorrevole ma scritta pensando a quel pubblico che già può confrontarsi con un linguaggio più maturo e leggermente più complesso, che aggiunge spessore al romanzo.
Genie ed Ernie, due fratelli di undici e tredici anni, passano un mese lontano da Brooklyn, un mese lontano dai loro comfort di città, un mese lontano dal wi-fi! I loro genitori stanno affrontando una crisi coniugale, così decidono di andare in Jamaica in vacanza da soli e portano i ragazzini nelle campagne della Virginia, dai nonni paterni, nonni che i due fratelli non vedono da moltissimi anni.
Mentre Ernie ha già superato una certa soglia dell’infanzia, indossa occhiali da sole per sembrare figo e cerca ragazze interessanti e caparbie con cui interagire, Genie si trova proprio in quell’età spartiacque dei perché e delle molte domande che segna su un taccuino e che durante quel lungo mese estivo non troveranno risposte nel motore di ricerca di Google ma nella vita vera.
Interessante esperimento letterario quello di Reynolds, perfettamente riuscito, di collocare dei ragazzini dei nostri giorni in una cornice in cui perdono le loro coordinate multimediali, artificio narrativo che rende la storia universale e pura, senza interferenze e immedesimante a livello profondo per chi legge.
«Ciao» mormorò Genie.
«Genie». Il nonno allungò la mano verso di lui. «Piacere di conoscerti finalmente.»
Genie provò a battere il cinque, ma il nonno gli prese la mano, la serrò come in una trappola per topi, e la strinse forte. Tanto forte che Genie strizzò un occhio. Tanto forte che per poco non gli scappò di chiedere: Ehi, ma che problemi hai?.
«La prima volta è sempre così». Il nonno si protese verso di lui tanto che Genie ne sentiva l’odore - un misto di dolcezza e sudore – e abbassò la voce quasi a farne un sussurro. «Ma d’ora in poi ci conosciamo, e ci batteremo il cinque». E gli rivolse un ghigno. Aveva i denti come quelli di papà e di Ernie. Perfetti, bianchi.
Della nonna viene fuori il cipiglio deciso, ma è il nonno il personaggio più interessante: è cieco, ma all’inizio ciò che colpisce i nipoti non è il fatto che sia totalmente autonomo nonostante non veda, ma il suo portare gli occhiali da sole sempre, anche in casa, anche la sera. E questo nonno ha anche una sua stanza privata chiusa a chiave, dove va a farsi i fatti suoi e in cui nessun altro può accedere. Sullo sfondo il mistero della casa gialla in mezzo al bosco e l’ombra di uno zio morto in guerra, una piccola moltitudine di ferite e tumulti dell’anima che non sempre hanno lo spazio per trovare le risposte, ma annotarle su un taccuino permette di vederle per ciò che sono veramente: occasioni per crescere.
E quindi, se il nonno aveva paura, chiunque poteva averne. Quando si rese conto che non avrebbe ricevuto risposta, Genie disse: “Be’, sei hai avuto paura non c’è niente di male”, proprio mentre la nonna varcava la soglia a passo di danza, portando un vassoio con una busta e una ciotola.
«Certo che non c’è niente di male» disse, intrufolandosi nella conversazione. Faceva sempre così. Nonna intrufolosissima! «A tutti capita di aver paura di qualcosa. Non c’è nulla di male. Assolutamente nulla»
È possibile rimettere a posto ciò che va storto nello scorrere delle nostre esistenze? E cosa succede se guardiamo le sofferenze o i rancori da un altro punto di vista? Niente paura Little Wood! fornisce ai giovani e alle giovani che lo leggeranno alcuni strumenti per riflettere su queste domande, e per annotarne molte altre, estate dopo estate.
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