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Siamo tutti Capaci. Falcone e Borsellino trent'anni dopo di Rosario Esposito La Rossa

Ore 11:30. Maggio. Afa. Prime mosche. Si suda anche da fermi. Giardino di una scuola superiore. I ventitre alunni della IV C sono in cerchio nel prato. Davanti a loro, un mucchio di pale. Il professor Mario Ruoppolo è al centro. Prof, che facciamo? Scavate.

Inizia così il racconto di una classe di “scapestrati” che non merita di andare in gita a fine anno, ma scopre che il professor Ruoppolo è deciso ad accompagnarli e così spera di andare a “Praga a sballarsi in discoteca, a Barcellona al Camp Nou, a Londra a fare shopping” come le altri classi, fino a quando con grande sorpresa apprende che l’appuntamento per partire non è all’aeroporto, ma in una cascina vicino scuola, confiscata alla mafia. Si parte per Palermo alla scoperta della vita di due magistrati uccisi da “Cosa Nostra”, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I ragazzi vengono a sapere che la buca da loro scavata, di quattro metri per cinque, non è altro che la grandezza del cratere che si è formato dopo lo scoppio della bomba sull’autostrada che ha causato la morte di Giovanni Falcone, della moglie e degli agenti della scorta.

Siamo tutti Capaci. Falcone e Borsellino trent'anni dopo

Un libro di narrativa per ragazzi dai 12 anni. A trent’anni dalla loro scomparsa, il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, eroi e vittime che hanno sacrificato se stessi per combattere la mafia, nel racconto forte e appassionato di Rosario Esposito La Rossa. Una storia che parla di memoria, legalità, scuola.

Sono passati trent’anni, e il ricordo dei due magistrati che si sono sacrificati per combattere la mafia è raccontato in modo appassionato nel libro Siamo tutti Capaci, edito da Einaudi e scritto da Rosario Esposito La Rossa, autore nato e cresciuto a Scampia che nel 2016 è stato nominato dal Presidente della Repubblica “Cavaliere dell’Ordine del Merito della Repubblica Italiana” per il suo impegno contro il degrado sociale, e che, fra le tante cose, nel 2017 ha fondato la “Scugnizzeria”, una libreria teatro dove i giovani trovano occasioni di formazione attraverso corsi e attività ludiche.

La classe, pronta a partire per la Sicilia, è incuriosita dalla vita di Falcone e Borsellino: si inizia nel 1985, quando i due magistrati vengono svegliati in piena notte e viene detto a Borsellino che “i carabinieri hanno intercettato una minaccia all’Ucciardone. I vertici di Cosa Nostra stanno organizzando un attentato contro di lei, il giudice Falcone e le vostre famiglie”; vengono, per questo motivo, esiliati in Sardegna senza bagagli e documenti per lavorare per circa quindici giorni, tutto a pochi mesi dall’inizio del maxiprocesso alla mafia.

I ragazzi con il professor Ruoppolo arrivano finalmente a Palermo, e invece di andare a visitare la città, iniziano a giocare a pallone in una piazzetta del quartiere Kalsa. È la zona dove Giovanni e Paolo, amici fin da piccoli, giocavano insieme. Nella casa di Paolo Borsellino, grazie all’impegno del fratello Salvatore, ora si trova un centro di accoglienza per i ragazzi della zona; nei pressi della casa di Giovanni Falcone, invece, c’è un albero, l’albero della legalità, che raccoglie messaggi, pensieri, disegni e piccoli oggetti lasciati dalle persone che vi fanno visita.

La classe è sempre più assorbita dalla storia dei due giudici, e la gita continua visitando il piccolo ufficio di Falcone e Borsellino ricostruito dall’autista del Magistrato Rocco Chinnici (anche lui ucciso dalla mafia).

È come entrare in una “macchina del tempo” che riporta i ragazzi negli anni 1980: la mafia ha già ucciso tutti coloro che cercavano di ostacolarne l’ascesa, ognuno indaga per conto proprio, fino a quando il magistrato Rocco Chinnici inventa il “pool antimafia”, un gruppo di magistrati che si occupa della stessa indagine e che inizia condividere le informazioni. Di questa squadra fanno parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e tutti insieme iniziano a raccontare che la mafia si può sconfiggere.

Il viaggio degli “scapestrati” con il tuffo nel passato non si ferma; fanno visita all’ “astronave verde”, una gigantesca aula bunker costruita accanto al carcere dell’Ucciardone, per poter contenere tutti gli imputati, gli avvocati e i giornalisti provenienti da tutto il mondo e dove la sentenza di primo grado affermava che la mafia esisteva e che aveva un nome, Cosa Nostra.

Rimangono pochi luoghi dove andare: uno di questi è la collinetta che sovrasta l’autostrada che collega Palermo al suo aeroporto…non ci sono parole, solo silenzi e pensieri: è qui che è stato azionato il telecomando che ha ucciso Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta…era il mese di maggio del 1992, il 23.

Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte.
Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte.
[...] Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre; collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità. Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.

Questo è parte del “Discorso dell’amore” che Paolo Borsellino pronunciò a Casa Professa, la biblioteca di Palermo, esattamente un mese dopo l’attentato a Giovanni Falcone e 26 giorni prima di essere ucciso anche lui dalla mafia. Domenica 19 luglio esplose una macchina in Via d’Amelio dove Paolo Borsellino si stava recando per salutare sua mamma e sia lui che gli uomini della scorta morirono sul colpo.

Siamo tutti Capaci è un libro dal forte impatto emotivo, sicuramente per chi ha vissuto quei momenti e ricorda e rivive tutte le emozioni di allora, dalla rabbia degli attentati alla consapevolezza che qualcosa era cambiato. I ragazzi, invece, che vengono a conoscenza della storia dei magistrati tramite la scuola e la famiglia, si sentono coinvolti ed entrano a far parte della classe degli “scapestrati” andando in giro con loro per Palermo, meravigliandosi di ciò che è accaduto e di come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino siano potuti vivere, tra determinazione e paure, anche solo per una piccola parte della loro vita, per amore della città e della nazione. Per la classe degli “scapestrati” e per tutti coloro che ci si ritrovano è la consapevolezza che “di questo viaggio ricorderemo i passi fatti insieme”.

Per approfondire la figura di Giovanni Falcone

Chi era Giovanni Falcone? Come raccontare ai tanti ragazzi che non hanno vissuto quel periodo la sua storia? Basta aprire internet, digitare "Giovanni Falcone" e di notizie ne abbiamo tante: dalle varie enciclopedie on-line agli articoli di giornale che sono apparsi dopo l’attentato, ma nessuna avrà il grado di profondità di un libro.

Nell'intervista di Alberto Melis, Da che parte stare, Maria Falcone ci racconta la vita del fratello, di quando era ragazzino e giocava per le piazze del quartiere Kalsa, a Palermo, correndo dietro a un pallone con il suo futuro amico e collega, Paolo Borsellino; chi si sceglie di essere da grandi ha radici profonde nelle esperienze legate all’infanzia: Maria Falcone racconta di come la famiglia insegnasse a Giovanni a dare valore a ciò che conta nella vita e nel rapporto con gli altri.

In Il mio amico Giovanni, il senatore, allora giudice Pietro Grasso, narra l’amicizia fra lui, il Magistrato e le loro mogli, di come abbiano condiviso le paure, le gioie, le emozioni; di come Falcone, con il suo incessante lavoro, sia riuscito, insieme agli altri magistrati del pool antimafia e agli altri collaboratori, a intentare il maxiprocesso alla mafia; di come abbia sofferto, quando è stato accusato dai suoi “colleghi” di essere un colluso, ma anche di come continuò, nonostante tutto, a lavorare. Grasso ci racconta di un Falcone contento, quando da Roma tornava a Palermo dalla moglie Francesca, per stare con lei il più possibile; ci parla di come sia vivere sotto scorta, senza libertà, con la paura che gli uomini che ti stanno accanto possano morire con te da un momento all’altro.

Anche il giornalista Luigi Garlando trova, nel suo libro Per questo mi chiamo Giovanni, le parole adatte affinché un padre possa spiegare al proprio figlio cosa sia la prepotenza, la paura, la mafia, e come a combatterla si inizi dalle prime angherie subite nei banchi di scuola. Così, il giorno del compleanno porta suo figlio Giovanni per le strade di Palermo, nei luoghi più significativi per l’uomo che ha combattuto la mafia: Giovanni Falcone. Gli spiega, con esempi adatti a un ragazzino di dieci anni, cosa sia Cosa Nostra, come agisce e di come, grazie a un pentito, si è riusciti a capirne l'organizzazione.

Falcone era anche un uomo innamorato e il delicatissimo libro illustrato Nonostante tutto è una dolcissima dichiarazione d’amore immaginaria che la moglie, Francesca Morvillo, dedica al suo amato durante l’ultimo tratto di autostrada percorso insieme prima dell’esplosione. Racconta che sono due persone normali e che è ciò che li circonda a non essere normale. “L’unica cosa speciale è l’amore nostro. Speciale, sì. L’amore nostro è speciale…Noi due siamo felici. Nonostante tutto. Felici, completi, non ci manca niente. Nonostante tutto”.

E per avvicinare i più piccoli all'educazione civica e iniziare a parlare loro di mafia, è perfetto Non ci sto! I bambini contro l'illegalità, di Anna Sarfatti.

L’eredità che ci ha lasciato Giovanni Falcone, insieme a tutti coloro che hanno collaborato con lui, è la sua purezza nel credere in un ideale, per cui ha lavorato fino all’estremo sacrificio; è la sua professionalità che non è mai venuta meno, neanche quando è stato allontanato dalle indagini pensando che fosse un traditore dello Stato; è la sua forza d’animo che lo ha aiutato a vivere rinunciando a tutto pur di estirpare il male nella “sua” Palermo; è la sua profonda onestà che ha fatto sì che dopo la strage, i cittadini manifestassero la propria rabbia e il proprio dolore e che il ficus che si trova davanti alla sua casa diventasse un simbolo di rivolta, riscatto e soprattutto legalità.

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