Chi lavora in libreria sa. Di non saperne socraticamente mai abbastanza.
Sai che per quanto tu possa erudirti, aggiornarti, inocularti sottopelle un microchip con rilevazione al minuto di eventi, tendenze o titoli in fase di decollo, sbarcherà sempre un cliente da un pianeta non ancora domiciliato nel sistema solare, che con epica nonchalance, estrapolerà dalla tasca o dal telefono un appunto inaudito, pretendendo da te la prontezza di un giaguaro davanti ad un’antilope sciancata.
Autore persiano esistito forse nel tardo medioevo, si vocifera cugino di sesto grado di Averroè, che avrebbe composto in pentametro giambico un libro di ricette molecolari ante litteram.
Tu libraio appronti la faccia da pesce d’aprile, ti domandi davvero a chi possa interessare la sferificazione di cibi nel 1199, ma dall’altra parte scorgi una serietà da Consiglio di Sicurezza dell’Onu in fase di turbolenza pandemica. E allora viri su un’altra modalità.
Capisci che la questione è grave, un’urgenza non differibile. Trovare questa casa editrice di Bellinzona (no, forse di Belluno, no, no, Bellano) che ha deciso di ripubblicare questo capolavoro di cucina siamese in versi è un fatto vitale. Soprattutto per te. E quindi con sudorazione incrementale cominci a scandagliare nella rete, sperando che qualcosa, anche solo una laida forma di indizio, possa restare impigliato.
Internet se potesse ti deriderebbe apertamente, anche solo a sbirciarti la ruga che ti sega in due la fronte tipo Mar Rosso in episodio biblico, ma tu procedi pertinacemente, mentre il tuo cliente continua a tamburellare il piedino sul parquet, lasciando intendere che per una cosuccia così immediata pensava di investirci al massimo quattro minuti. E che se non si fosse capito, sì, sei proprio una delusione.
Poi, accade qualcosa. L’universo intercetta le tue richieste di salvezza e per benevola convergenza cosmica materializza davanti al tuo sguardo schiantato una pagina estratta da un periodico veneto per bibliomani compulsivi in cui intervistano un ricercatore universitario in letteratura araba che dichiara di essere molto appassionato di cucina destrutturante e che sogna ancora di conciliare le sue due grandi passioni, magari, chissà, scrivendo una storia su un cuoco poeta vissuto mille anni fa nell’attuale Tagikistan.
Ovvero, il libro, questo Sacro Graal della piccola editoria lombardo-veneto-romagnola, non è mai stato stampato. Galleggia tipo ircocervo nella fantasia di questo docente in attesa di cattedra e di questo cliente in attesa di visita specialistica. Il cliente sbuffa e ovviamente non si scusa per averti risucchiato le energie nell’ultimo quarto d’ora reputando che non sapessi svolgere il tuo lavoro.
Ma tu invece lo sai fare. Hai imparato a surfare sull’onda senza farti tramortire. E allora, capendo che il signore qui presente ha dimostrato una certa inclinazione verso il mondo arabo, tu non puoi esimerti dal suggerirgli un paio di autori a cui dovrebbe proprio dare un’occhiata. Lo conduci come un discepolo davanti alla parete del romanzo storico e gli mostri Youssef Ziedan con Nabateo lo scriba, per inalare atmosfere all’alba dell’Islam e poi ovviamente scegli lui, Gilbert Sinouè, con il suo incantevole La via per Isfahan, dove sarà Avicenna a prenderlo per mano.
A questo punto la sua espressione si rischiara come dopo un fortunale in pieno golfo del Messico.
E ovviamente anche la tua. Ti ringrazia e promette che tornerà. Tu non dubiti e te ne rallegri, ma speri comunque che lo faccia con calma.
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| Ghibli, 2017Di
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