Illustrazione di Matilde Romanò, 2024, studentessa in Illustrazione e animazione allo IED, Istituto Europeo di Design. Acquerello tradizionale e lineart in digitale
L’aria sa di fumo, una sigaretta continua a bruciare, un rossetto rosso consumato sull’apice, un foglio di carta segnato dalle parole e dalla forza di chi le ha scritte. Qui, incorniciate in una casa sui Navigli, si potrebbe ancora sentire riecheggiare la poesia di Alda Merini.
Alda Merini che ha conosciuto il volto della crudeltà e la bellezza estrema della vita e le ha sempre rese fluide essenze della sua vocazione.
Una figlia della primavera, che non sapeva che nascere il 21 marzo avrebbe potuto aprire le zolle e scatenar tempesta.
Merini non era famosa per la rettitudine devota alle aspettative degli altri, alla conformità della vita, a ciò che ci si attende da una moglie, da una madre, da una donna di un’epoca che ancora si insinua dentro i nostri retaggi. Ma lei non aveva retaggi, né la necessità di essere una dissidente della normalità, non era un’oppositrice per boria da intellettuale – non era questo che contava. Contava la riconoscenza attraverso la poesia, un riconoscersi che si presenta come rapporto di ambiguità e reciproco sostegno, forse una vera voce di preghiera.
Noi qui dentro si vive in un lungo letargo,
si vive afferrandosi a qualunque sguardo,
contandosi i pezzi lasciati là fuori,
che sono i suoi lividi, che sono i miei fiori.
Io non scrivo più niente, mi legano i polsi,
ora l’unico tempo è nel tempo che colsi:
qui dentro il dolore è un ospite usuale,
ma l’amore che manca è l’amore che fa male.
(da Canzone per Alda Merini di Roberto Vecchioni)
Merini conobbe il dolore del manicomio, un dolore che diventa un’espressione dell’imprendibile domanda che non ha mai la risposta adeguata. Allora, la poesia tramuta e mistifica. Si scopre del gioco, del desiderio, della spontaneità e si eleva a misticismo terreno, qualcosa che ritaglia e mette in ordine ciò che è tempesta e ombra.
Comprendo adesso che io sono un’ombra
oltraggiosa magnifica pensosa
e che tu rarefai le mie pienezze
come si sfa la terra per rubarvi
il fortissimo seme della vita.
(estratto di Ti ho detto addio, tratto da Folle, folle, folle d’amore per te)
Leggere poesia è un’esperienza che può avvicinarsi a un’esperienza di ricongiungimento, sentire delle piccole fragilità che tornano a casa. Ma leggere Merini è un’esperienza di verità, non dissimile da quell’espressione beffarda e sorniona di chi vede una luce maggiore e invece di tenerla per sé la traduce e, nella parola, la dona agli altri.
Come se non si potesse fare altro che questo.
E allora non so dove mettere questo fardello d’amore
se non vicino agli dei.
(estratto di Quando penso, tratto da Confusione di stelle)
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