Fischia il vento e infuria la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andar…
Molti conoscono e hanno ascoltato almeno una volta Fischia il vento, ma sono in pochi a conoscerne la storia. Siamo nell’anno 1943. Il 9 luglio gli alleati sbarcano in Sicilia, il 25 Mussolini viene destituito dal Gran Consiglio del Fascismo, l’8 settembre viene firmato l’armistizio e, poco dopo, nasce la Repubblica di Salò. In tutta Italia si costituiscono le Brigate della Resistenza.
In Liguria, Felice Cascione inizia a organizzare gruppi di resistenza che si riuniscono nel suo studio medico. Felice nasce a Oneglia nel 1918. A soli cinque anni perde il padre, e la madre, maestra elementare, deve lasciare la famiglia del marito perché si dichiara antifascista: per le sue idee contro il regime, Maria viene trasferita continuamente in scuole difficili da raggiungere. Nonostante i forti disagi riesce a far studiare il figlio, che si iscrive alla facoltà di Medicina. Anche lui, da studente universitario, è costretto a trasferirsi prima a Genova, poi a Napoli e a Bologna, dove riesce a laurearsi. Il giorno della sua laurea scrive alla madre: «Per il nostro ideale abbiamo, te specialmente, sofferto ingiustizie e umiliazioni. Tutto dobbiamo dimenticare. Da oggi la nostra porta di casa deve essere aperta a tutti. Mi comprendi mamma? Mamma tu hai il tuo stipendio; quando andrai a riposo, avrai la tua pensione. Vuoi permettermi di destinare alla beneficenza parte del mio guadagno? Vi sono tanti poveri a cui pensare!»
Dopo l’armistizio, Felice prende parte ad alcune dimostrazioni di piazza; durante una di queste viene arrestato. Tornato in libertà, si unisce alla Resistenza. Il 20 novembre 1943 viene ucciso il suo compagno di brigata Walter Berio, allora solo ventunenne. Felice si rifugia nelle montagne e inizia a pensare di comporre una canzone per i partigiani e per la Resistenza. Nel frattempo si uniscono alla brigata alcuni ex soldati russi sopravvissuti ai rastrellamenti nazisti. Dai nuovi compagni impara alcune canzoni tra le quali Katyusha, la più cantata durante la resistenza della campagna russa, scritta dal poeta Mikhail Isakovsky.
In una fredda notte di novembre, mentre pensa con nostalgia e tristezza a Walter, ucciso da poco per il suo coraggio e il suo desiderio di libertà, Felice inizia a scrivere su un fogliettino queste prime parole:
Soffia il vento, urla la bufera
Scarpe rotte eppur bisogna ardir,
a conquistare la rossa primavera
in cui sorge il sole dell’avvenir
Riesce a farle arrivare alla madre che, da brava maestra, ne cambia alcune: «soffia» con «fischia», e «ardir» con «andar». La banda di Felice Cascione canta l’inno per la prima volta nella notte del 24 dicembre 1943 davanti alla chiesa di Curenna in provincia di Savona.
Intanto continuano i rastrellamenti delle truppe naziste guidate dai fascisti del luogo. Felice, divenuto leader della Resistenza ligure, è ricercato, vivo o morto. La sera del 27 gennaio del 1944 la sua brigata viene circondata dai nazifascisti e durante il conflitto a fuoco Felice perde la vita, a soli 26 anni, combattendo da eroe.
Italo Calvino, insieme al fratello Floriano, entrerà a far parte della brigata Garibaldi “Felice Cascione”. Scrisse: «Il tuo nome è leggenda, molti furono quelli che infiammati dal tuo esempio s'arruolarono sotto la tua bandiera».
Il 16 giugno 1946 vengono organizzati i funerali di Felice Cascione. La salma, scortata da cinque autocarri, viene portata fino a Oneglia passando da tutti i paesi. Migliaia di persone rendono omaggio all’eroe partigiano cantando la canzone Fischia il vento. Alessandro Natta, futuro segretario del PCI, torna per i funerali a rendere omaggio al suo connazionale, che aveva, tra l’altro, conosciuto di persona.
Il 24 giugno 1948 Felice Cascione viene insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
Perseguitato politico, all'annuncio dell'armistizio iniziava l'organizzazione delle bande partigiane che sotto la sua guida ed al suo comando compirono audaci gesta per la redenzione della Patria. Arditi colpi di mano, atti di sabotaggio, azioni di guerriglia sulle retrovie nemiche lo videro sempre tra i primi, valoroso fra i valorosi, animatore instancabile, apostolo di libertà. Ferito in uno scontro con preponderanti forze nazifasciste rifiutava ogni soccorso e rimaneva sul posto per dirigere il ripiegamento dei suoi uomini. Per salvare un compagno che, catturato durante la mischia, era sottoposto a torture perché indicasse chi era il comandante, si ergeva dal suolo ove giaceva nel sangue e fieramente gridava: “Sono io il capo”. Cadeva crivellato di colpi immolando la vita in un supremo gesto di abnegazione.
Tra le tante versioni della canzone ricordiamo quella di Milva del 1965; la rielaborazione di Pierangelo Bertoli con la canzone Contessa scritta nel 1966:
se il vento fischiava ora fischia più forte
le idee di rivolta non sono mai morte
se c’è chi lo afferma non state a sentire
è uno che vuole soltanto tradire
E per finire la versione di Laura Salvi, interprete della canzone di Maremosso.
Fischia il vento e infuria la bufera
Scarpe rotte eppur bisogna andar
A conquistare la rossa primavera
Dove sorge il sol dell'avvenir
A conquistare la rossa primavera
Dove sorge il sol dell'avvenir
Ogni contrada è patria del ribelle
Ogni donna a lui dona un sospir
Nella notte lo guidano le stelle
Forte è il cuor e il braccio nel colpir
Nella notte lo guidano le stelle
Forte è il cuor e il braccio nel colpir
Se ci coglie la crudele morte
Dura vendetta sarà del partigian
Ormai sicura è la dura sorte
Del fascista vile e traditor
Ormai sicura è la dura sorte
Del fascista vile e traditor
Cessa il vento e calma la bufera
Torna a casa il fiero partigian
Sventolando la rossa sua bandiera
Vittoriosi e alfin liberi siam
Sventolando la rossa sua bandiera
Vittoriosi e alfin liberi siam
Centododici partigiani vengono catturati dai tedeschi o dai fascisti e già sanno che saranno giustiziati dal plotone d'esecuzione o uccisi dalle torture. Tutti vivono, per la prima e l'ultima volta, l'atroce esperienza di "un tempo breve eppure spaventosamente lungo, in cui si toglie all'uomo tutto, anche la speranza.
La vita di Felice Cascione, da studente, partigiano e da uomo, nella sua lotta per la libertà e contro il fascismo sempre in prima linea, fino alla fine. Il libro di Donatella Alfonso ripercorre le tappe più importanti dell'uomo che ha composto la canzone più famosa della Resistenza italiana.
Un narratore senza nome ci guida fra i suoi ricordi d'infanzia, nei suoi primi incontri con i figli dei Finzi-Contini, suoi coetanei resi irraggiungibili dal divario sociale. Ma le leggi razziali, che calano sull'Italia come un nubifragio improvviso, avvicinano i tre giovani rendendo i loro incontri, col crescere dell'età, sempre più frequenti.
La guerra di Liberazione dalla dittatura nazifascista e dall'occupazione tedesca viene raccontata attraverso le voci della Resistenza che hanno cambiato il corso della Storia. Una grande narrazione collettiva che ripercorre i luoghi dove ancora vivo è il ricordo delle migliaia di persone che hanno pagato a caro prezzo gli ideali di democrazia e libertà.
La Resistenza non solo come lotta, ma come impegno civile, morale e religioso: il romanzo di Luisito Bianchi è diventato un caso letterario per la sua capacità di sintesi tra lotta per la libertà e cristianesimo. Una storia avvincente e originale, con un punto di vista inedito per un'opera di alta letteratura.
All'indomani della Liberazione, l'Italia si trova per la prima volta a fare i conti con la democrazia. Norberto Bobbio ne conosce i limiti, le imperfezioni e i pericoli, e nella sua riflessione pone l'accento sulla necessità di una Costituzione forte per il buon vivere democratico.
I giovani delle formazioni partigiane protagonisti di questo libro non avevano idea di comunismo, erano cresciuti nell'autarchia fascista, senza aver mai vissuto esperienze politiche. Eppure ebbero il coraggio di schierarsi, di praticare una loro spontanea tensione morale, di formarsi nella lotta, riscattando agli occhi del mondo la dignità del popolo italiano.
Di fronte allo «spaventoso caos di un mondo in rovina», nel terribile inverno tra il 1943 e il 1944, Piero Calamandrei comprese come ogni speranza di «duratura rinascita» non poteva non fare affidamento sul ripristino del principio di legalità a «metodo di governo».
Un castello in Piemonte, una famiglia nobile che decide di aiutare i partigiani, la figlia più giovane, Leletta d'Isola, che annota sul suo diario quei mesi terribili ma anche meravigliosi in cui comunisti e monarchici, aristocratici e contadini, ragazzi alle prime armi e ufficiali dell'ex esercito regio lottarono, morirono, uccisero per salvare la loro patria.
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