L’animo umano è un puzzle complesso, in cui ciascun tassello può incastrarsi con altri secondo schemi peculiari e del tutto soggettivi. Esistono però alcune ricorsività che tracciano una scia, a volte di bontà e tenerezza, altre di efferatezza e crudeltà. Spesso, lo confesso, sono attratto dalla seconda, alla ricerca dell’inspiegabile dietro gesti così violenti e comportamenti al limite. Come una vertigine, la ferocia è un impulso da cui, come esseri animali, sentiamo di dover in ogni modo fuggire ma per cui, allo stesso tempo, proviamo una perversa attrazione.
Esattamente dieci anni fa ho scoperto un autore che mi avrebbe folgorato per il suo immaginario crudo e violento: Omar Di Monopoli. In quell’anno uscì forse il suo romanzo migliore (sicuramente il mio preferito) Uomini e cani, edito da Isbn Edizioni (poi fallita) e adesso ristampato da Adelphi. Si tratta di un western nostrano dall’altissimo tasso di tensione, un thriller senza soluzione di continuità dal linguaggio ostico e immaginifico, in cui italiano e dialetto battagliano e si contrastano, ambientato in un Salento figlio della povertà, ignoranza e arroganza, con personaggi intrisi di arcaico livore e sanguinaria barbarie. Qui la ferocia rappresenta il disprezzo profondo verso l’altro e il pressoché totale rifiuto per istituzioni e qualsiasi sentimento che possa definirsi come “umano”.
Esistono poi tipi più subdoli di coercizione e cattiveria, come ad esempio le pressioni psicologiche, che conducono vittima e carnefice in una spirale crescente di (auto)distruzione. Se leggete Un’estate da ragazzi, di Richard Cox, verrete catturati dalle torbide atmosfere paranormali alla Stephen King: in Texas un gruppo di amici ripensa alla loro adolescenza sconvolta da un tornado e dall’arrivo di un loro coetaneo (all’apparenza) dotato di poteri paranormali capaci di influenzare le loro azioni. Tanto nel passato quanto nel presente, in un orizzonte di accadimenti inspiegabili e cicatrici interiori mai rimarginate, si snodano le vite e la perdita dell’innocenza di chi, fino a prima di quei catastrofici eventi, poteva sentirsi ancora un ragazzo. Ferocia, qui, è infliggere subdolamente sofferenze per il semplice gusto di farlo.
E se quello che andiamo cercando non fosse nient’altro che noi stessi e per farlo si dovesse necessariamente passare attraverso un inferno di abiezione e peccati, toccando con mano l’infimo degrado della natura umana, come ne usciremmo? Se ve lo state chiedendo, non vi rimane che leggere Le acque del Nord, meraviglioso romanzo marinaresco di Ian McGuire, in cui coesistono le ambientazioni e l'ossessione di Melville con l’oscurità esistenziale di Conrad. Qui il protagonista, un medico radiato dall’esercito inglese durante la guerra in India a metà dell’Ottocento, finisce per imbarcarsi su una baleniera. Anche se convinto di poter scappare dai propri fantasmi, la comparsa di nuovi ed efferati crimini lo perseguiterà senza sosta. Ferocia è la perdita di ogni scrupolo, morale e comportamentale, alla ricerca della propria fortuna.
Una delle prime lezioni che la letteratura (così come la vita) mi ha insegnato è che puoi pure scappare dai tuoi errori e dalle tue colpe, ma quelle, in un modo o nell’altro, ti inseguiranno e ti staneranno. E nel leggere quella piccola perla scritta da Paul Lynch che è Cielo rosso al mattino, ne ho avuto la conferma: Irlanda, anni ’30 dell’Ottocento (ci risiamo), dopo un diverbio per un futile motivo, una tragedia costringe Coll Coyle a scappare dal paese e cercare rifugio in America; sulle sue tracce si metterà John Faller, l’incarnazione del male razionale. Una storia sull’inevitabilità delle conseguenze, sulla fuga disperata, la ricerca di sé e della propria libertà, scritta con maestria e talento, con un linguaggio materico e uno stile avvolgente. Ferocia è, contemporaneamente, scappare da un destino atroce e costringere l’altro a piegarsi al proprio castigo.
E se ci fosse anche un senso positivo dietro a gesti eclatanti e dirompenti? Se proviamo a pensare che certi scatti d’ira servano come protezione, invece che offesa, ecco che la prospettiva cambia radicalmente. Nel Diavolo in persona Peter Farris crea un protagonista, Leonard Moye, dalla forte impronta ambivalente: sperduto e solitario abitante della provincia americana che cambia (ma nemmeno più di tanto) con l’arrivo di una ragazza. Sembra di vedere l’incarnazione letteraria di Clint Eastwood: duro, cinico, violento e idealista. Gli elementi per far deflagrare la situazione ci sono tutti, ma non saranno così scontate le motivazioni e, soprattutto, le conseguenze. Ferocia, adesso, è istinto di protezione verso chi appare debole e indifeso.
Le altre strade di carta
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| Baldini + Castoldi, 2017Di
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