Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi
"Non far nulla è un lavoro interiore". Nella celebre risposta data ad un giornalista che lo intervistava per una rivista francese, è condensata la poetica e lo stile di vita di Cossery. I fannulloni nella valle fertile, il più noto dei suoi libri, racconta la storia di una famiglia composta di soli uomini che vive alla periferia del Cairo, dedicandosi ad un'unica attività: dormire! Il soporifero equilibrio familiare viene sconvolto quando Serag, il più piccolo dei tre fratelli, annuncia di voler andare in città a cercare lavoro. Uno scandalo! Di lì a poco, la situazione precipita alla notizia che Hafez il padre, anziano e ormai malato, sta cercando moglie per la seconda volta. Sembra la fine di un sogno: l'ideale di pace coltivato per anni con ostinazione crolla improvvisamente. Una tragedia! Da qui nasce una sequela di situazioni in cui il tragico e il comico si alternano con sapienza drammaturgica e vengono raccontati entrambi con un tono sobrio e distaccato. Quella di Cossery è un'ironia sottile e questo romanzo è una commedia fredda e calibrata che nasce da una consapevolezza raggiunta, da una presa d'atto: là fuori non c'è un mondo da cambiare, possiamo solo cercare dentro di noi il calore di cui abbiamo bisogno. Dolcemente.
Il rumore del tempo di Julian Barnes racconta il rapporto travagliato e ambiguo che Dimitri Sostakovic, musicista geniale, ebbe con il Potere sovietico, lungo l'arco della sua vita. Il 29 gennaio del 1936 sulla Pravda appare un articolo anomino (attribuibile a Stalin in persona?) che, all'indomani della prima di Lady Macbeth del distretto di Mcensk, definisce l'opera "caos anziché musica". Da quel momento Sostakovich è costretto a fare i conti con il regime: viene accusato di assecondare i gusti borghesi, la sua arte tacciata di traviare le coscienze del popolo russo. Per questo subirà pressioni subdole e verrà interrogato più volte. Quale sarà la risposta di un genio di fronte a minacce di questo tipo? Quale prezzo sarà disposto a pagare per difendere la propria arte? La riposta non è così scontata. L'uomo che ha dato vita a quella musica immortale si dimostra più complesso, o meno eroico, di quanto ci si aspetterebbe (chissà perché poi, in fondo era un uomo anche lui). Le sue tormentate riflessioni, i suoi infingimenti, le sue ossessioni, le sue paure sono il centro di questo libro sorprendente e inquietante che, a un certo punto, ci regala questa perla:
"Ma essere vigliacco non è facile. Molto più facile essere un eroe. A un eroe basta mostrarsi coraggioso per un istante: quando estrae la pistola, quando lancia la bomba, attiva il detonatore, fa fuori il tiranno e poi se stesso. Essere un vigliacco significa invece imbarcarsi in un'impresa che dura una vita. Mai un po' di riposo. C'è da anticipare l'occasione successiva in cui si dovrà tergiversare, mostrarsi servili, giustificarsi, riabituarsi al gusto di nuovi stivali da leccare e all'amarezza di constatare la propria rovinosa abiezione. Essere un vigliacco richiede costanza, fermezza, impegno a non cambiare, il che si risolve in una certa qual forma di coraggio. Sorrise tra sé e si accese un'altra sigaretta. Il piacere dell'ironia non l'aveva ancora del tutto abbandonato."
Spero che i critici più severi non considerino il mio giudizio un atto sacrilego, ma per me anche Amleto, proprio lui, in fondo era un ignavo. Da semplice lettore, ho sempre trovato interessante il tormento di questo principe, il suo dubbio, la sua incapacità di agire. Il capolavoro di Shakespeare appartiene ad genere preciso e di lunga tradizione: la tragedia della vendetta. Ma in questo caso non si compie, la vendetta, e la tragedia nasce proprio da lì. Nell'ostinato tentativo di trovare una verità che lo metta al riparo dall'errore, Amleto continua a procrastinare il suo dovere: vendicare suo padre. Ciò che qualsiasi altro eroe avrebbe fatto a occhi chiusi prima di lui, diventa impossibile. Ad Amleto la rivelazione del fantasma di suo padre non basta: vuole essere certo che ad aver ucciso il suo genitore sia stato suo zio, che ha sposato sua madre quand'era ancora in lutto. Per questo si ferma, blocca lo svolgersi naturale dell'azione, aspetta, indaga. Inutilmente. In una pagina memorabile della Nascita della tragedia, Nietzsche dice : "In questo senso l'uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato una volta uno sguardo vero nell'essenza delle cose, hanno conosciuto, e provano nausea di fronte all'agire, giacché la loro azione non può mutare nulla nell'essenza eterna delle cose, ed essi sentono come ridicolo o infame che si pretenda da loro che rimettano in sesto il mondo che è fuori dai cardini".
Insomma dichiaro la mia personale simpatia nei confronti degli ignavi. Le ragioni sono almeno due: la prima è che, a volte, chi non agisce porta dentro di sé un tormento superiore a quanto ci si immagini, e questo va rispettato; la seconda è che io non mi fido troppo di chi agisce senza mai fermarsi a pensare, ma mi fido ancora meno di agisce sulla scorta di idee buone e giuste, che vuole imporre agli altri: si solito è un prepotente. E ai prepotenti preferisco gli ignavi, come me. Che sono, in fondo, o mi illudo di essere un rivoluzionario. A modo mio.
Di
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| Feltrinelli, 2013Le altre strade di carta
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