Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi
Che l'infanzia sia un mondo tutt'altro che idilliaco, lo ricorda bene anche un libro a cui sono molto legato: Il signore delle mosche.
Il romanzo racconta di un gruppo di giovanissimi studenti che, in seguito a un incidente aereo, si ritrova su un'isola deserta. Costretti a organizzare la loro vita senza gli adulti, questi ragazzini provano a darsi delle leggi autonomamente. Sulle prime l'esperimento funziona, ma, col passare del tempo, l'assenza di figure autorevoli porta alcuni di loro a disconoscere le regole comuni.
Un gruppo, in particolare, si spinge nella foresta per dare la caccia agli animali selvatici e, piano piano, riscopre una parte selvaggia del proprio carattere che l'educazione aveva sopito.
Nel racconto distopico prende vita, inevitabilmente, uno scontro epico tra due fazioni che simboleggiano i due aspetti dell'animo umano: da un lato la parte razionale e civile soggetta alla legge, dall'altro quella istintiva e irrazionale che riconosce solo la forza bruta.
Nella lotta, come sempre accade, saranno i più deboli a soccombere.
Quando lo lessi per la prima volta, rimasi sconvolto. La mia professoressa di italiano del liceo lo aveva inserito nella lista di libri da leggere durante le vacanze estive. Ne lessi tre su dieci, come prescritto - o forse di più, leggere non mi è mai pesato -, ma gli altri titoli li ho dimenticati.
Di questo invece ricordo anche la frase dell'autore, William Golding (premio Nobel 1983), riportata sulla quarta di copertina: "Gli uomini producono il male come le api producono il miele".
Fino ad allora ero stato portato ad associare il male agli adulti, esclusivamente. Associarlo ai bambini mi turbava perché avevo, come tutti, idealizzato l'infanzia.
Si tratta di un retaggio culturale: un bambino che compie un gesto malvagio ci inquieta.
Ci inquieta molto di più, tuttavia, vedere un adulto che si comporta come un bambino.
Ferdydurke, il capolavoro di Witold Gombrowicz, me lo avrebbe dimostrato qualche anno dopo.
Il romanzo racconta la storia di Gingio un trentenne in cerca di sé stesso che una mattina, risvegliatosi dopo una notte agitata da strani incubi, viene raggiunto da Pimko un personaggio misterioso che lo convince a tornare tra i banchi di scuola.
Costretto a stare tra i giovani alunni, sulle prime Gingio si sente in difficoltà, prova estraneità di fonte ai giochi e agli scherzi dei ragazzini. Pian piano però la sua nuova condizione inizia a piacergli: l'assenza di responsabilità, il ritorno al mondo delle burle e delle beffe lo porta a riconsiderare il suo giudizio iniziale. Gingio ricomincerà a fare le boccacce come i suoi compagni in una regressione verso l'infanzia dal sapore inquietante. Appunto.
Con grottesca ironia, la storia mette in scena l'infantilismo dilagante in quegli anni, mostrandone i lati oscuri e preconizzando le sciagure che ne sarebbero derivate.
I regimi totalitari del Novecento, sembra affermare l'autore, non sono altro che delle forme di governo che infantilizzano i propri cittadini, sollevandoli da qualsiasi responsabilità, ma privandoli della libertà. Come fossero bambini.
Considerato da molti un saggio filosofico in forma di romanzo, quest'opera anticipa la catastrofe in cui sarebbe precipitata tutta l'Europa a pochi anni dalla sua pubblicazione.
Rileggendo queste parole, mi viene in mente questa frase tratta da Il libro del riso e dell'oblio di Milan Kundera :"I bambini non sono l'avvenire perché un giorno saranno adulti; ma perché l'umanità si avvicina sempre più a loro, perché l'infanzia è l'immagine dell'avvenire".
É citata nel saggio che ho sul tavolo mentre scrivo: Immaturità di Francesco Cataluccio. Se non fosse fuori catalogo (purtroppo!), potrei concludere la cinquina con il libro che l'ha ispirata (se vi capita di trovarlo, non perdete tempo con questo articolo), invece...
Il libro del grande scrittore boemo, recentemente scomparso, è composto da sette storie diverse, con protagonisti quasi sempre diversi, che raccontano, in forma di variazioni, "la lotta dell’uomo contro il potere e la lotta della memoria contro l’oblio".
La struttura reticolata delle vicende dà vita ad una forma narrativa originalissima il cui motore non è la trama, ma il tema. Le esistenze dei personaggi, accomunate dagli stessi sentimenti, si sfiorano continuamente, senza incontrarsi mai.
Nel racconto intitolato Gli angeli, la protagonista Tamina sogna di ritrovarsi su un'isola popolata da bambini e governata dal presidente dell'oblio che ammonisce con forza: "Fanciulli, non guardate mai indietro".
In ultima analisi, gli equivoci messi in luce dalla frase di Barrie sono ben due. Il primo è che, a dispetto di quanto si creda, l'infanzia non è affatto un paradiso fatato; il secondo è che in quella statua, nei giardini di Kensington, migliaia di turisti ogni anno non contemplano il proprio passato, ma il proprio futuro. E non è detto che sia una bella notizia.
Le altre strade di carta
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