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Quando rielaboriamo un fatto reale, mantenere un atteggiamento assolutamente oggettivo non è così scontato. Spesso attraverso il ricordo, il racconto, modifichiamo, a volte anche inconsciamente, il dato reale sulla base di come noi lo abbiamo percepito, di come noi ci siamo proiettati nell'azione. È uno dei tratti fondamentali dei cosiddetti "perdenti di talento" categoria a cui sento di essere assolutamente affine. Hanno idee geniali, sono brillanti, acuti, ironici, ma non emergono come vincenti, in nessuna situazione. I loro successi non sono mai tali da consacrarli sull'altare della gloria.
La letteratura è piena di questi personaggi, che molto più dell'eroe senza macchia e senza paura possono entrare in sintonia con il lettore.
Cominciamo a scoprire un perdente di talento davvero in erba: il giovane seienne Calvin, protagonista insieme alla sua tigre Hobbes, del fumetto Calvin & Hobbes di Bill Watterson. Calvin vive nel mondo della sua immaginazione, e Hobbes, per tutti una semplice tigre di pezza, quando sono insieme diventa una tigre vera in carne ossa e pelliccia! Hobbes è coscienza, disturbatore, compagno di giochi, consolatore, amico inseparabile di Calvin.
Calvin, oltre alle mille avventure e marachelle che combina con la sua tigre, si immagina a volte astronauta, a volte feroce dinosauro, star cittadina se prende un bel voto a scuola, supereroe che combatte le ingiustizie e risolve test a sorpresa. Il tutto per elaborare una realtà in cui deve confrontarsi con la scuola che non gli piace, il compagno bullo che lo maltratta a ricreazione, la vicina di casa che odia e ama… Ho letto e riletto con estremo piacere gli album con le loro strisce pubblicate da Comix, arrivando quasi a poter citare per ogni fatto della vita una battuta di Calvin& Hobbes, e mai mi sarei aspettata ad anni di distanza di trovare fra le pagine di uno scrittore esordiente la proiezione in età adolescenziale del mitico Calvin.
Eppure l'anonimo protagonista di Mia sorella è una foca monaca di Christian Frascella è esattamente questo. Lo incontriamo all'inizio del romanzo mentre fa rissa a scuola con il rivale in amore Schwarzy per conquistare il cuore della bella Elena. Manco a dirlo, nonostante le sue mosse alla Oscar Moya, il nostro si ritroverà pesto e acciaccato, espulso da scuola e sbeffeggiato dai compagni. Elena non se lo filerà manco di striscio.
Da qui in poi la sua tracotante sicurezza continuerà ad essere contraddetta dalla realtà della periferia torinese di fine anni '80, senza sbocchi e senza stimoli. E nonostante tutto non si smorzerà, non smetterà di colpire con gli zigomi i calci in faccia della vita, con il suo modo di fare spaccone e strafottente, assolutamente scollegato dalla realtà e, forse proprio per questo, totalmente irresistibile e vero.
A voler proiettare anagraficamente ancora avanti nel tempo il carattere di questo personaggio ci si ritrova inevitabilmente a confronto con l'Arturo Bandini di Chiedi alla polvere di John Fante. Figlio di immigrati italiani, Bandini sogna di diventare uno scrittore di successo nella California della grande depressione. Sbruffone, sfortunato, sofferente, Bandini cavalca il cavallo morto della suo unico racconto pubblicato, il fantomatico "Il cagnolino rise", vive il suo amore infelice per una cameriera messicana, Camilla, nutrendosi di sole arance. Personaggio unico nel suo genere, Arturo Bandini è stato forse il primo perdente di talento riconosciuto dalla critica.
Ma a guardarsi bene in giro nel mondo della letteratura, possiamo trovargli altri degni compagni. Prendiamo ad esempio Ignatius J. Reilly e i suoi eccentrici compari protagonisti di Una banda di idioti di John Kennedy Toole. Alla fine degli anni Sessanta, il corpulento trentenne Ignatius vive con la mamma in un appartamento alla periferia di New Orleans, dove tira a campare con lavori saltuari, convinto di essere nato nell'epoca sbagliata e che tutti i suoi fallimenti siano da imputare ad un destino avverso. Eccentrico, idealista e creativo fino a convincersi delle sue illusioni, Ignatius è una sorta di moderno don Chisciotte in sovrappeso a cui è impossibile restare indifferenti.
Così come non si può restare insensibili di fronte all'improbabile coppia di Hap e Leonard, protagonisti di una fortunata serie di romanzi di Lansdale. Li incontriamo per la prima volta in Una stagione selvaggia e non potrebbero esserci due personaggi più scappati di casa di questi due antieroi.
Leonard è nero, gay, repubblicano e veterano del Vietnam, adora Hank Williams e i biscotti alla vaniglia, Hap è bianco, etero, progressista e pacifista tanto che è stato in galera per renitenza alla leva e ha il vizio di innamorarsi perdutamente della donna sbagliata. Lavorano entrambi come raccoglitori di rose in una piantagione e su di loro non scommetterebbe mai nessuno. Coinvolti dalla ex moglie di Hap in un affare sporco, si troveranno fra le mani una situazione esplosiva e molto pericolosa. Lansdale crea una coppia perfetta nel suo essere inadatta alla società, che sa compiere azioni anche eroiche, in modo magari non ortodosso ma efficace; eppure nulla di ciò che faranno, pur nel giusto, potrà cambiare il loro status di esclusi dalla perbenista e ordinata società americana.
Perché essere perdenti di talento è uno stile di vita!
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