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Bruno Neri: il terzino partigiano

Immagine tratta dal libro "Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana, di Edoardo Molinelli, Red Star Press, 2019"

Immagine tratta dal libro "Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana, di Edoardo Molinelli, Red Star Press, 2019"

Questa storia potrebbe avere molteplici inizi, ma uno – più di tutti – merita di essere il portale attraverso cui entrare dentro la vita di Bruno Neri.

Siamo a Firenze nel settembre del 1931. Più precisamente è il 13 settembre del 1931 ed è il giorno in cui si inaugura il nuovo stadio. Quello in cui giocherà la Fiorentina, la squadra di calcio della città fondata cinque anni prima e appena promossa in Serie A.
Oggi conosciamo quel luogo come lo Stadio Artemio Franchi, ma all’epoca era noto a tutti come il Giovanni Berta, omaggio a una camicia nera morta qualche anno prima durante uno scontro.

Se visto dall’alto (ancora oggi è così) lo stadio di Firenze non ha una forma ovale, come ci si aspetterebbe. Il lato della tribuna coperta è schiacciato come a formare la stanghetta rigida della lettera D. Un omaggio, si dice, alla D del Duce Benito Mussolini.

Bruno Neri. Tra amichevoli e saluti (romani)

Quel 13 settembre si gioca una partita amichevole per inaugurare il nuovo impianto e, davanti alle più alte cariche fasciste della città (nonché a circa 12mila spettatori), scendono in campo la Fiorentina e l’Admira Vienna. Pochi attimi prima del fischio di inizio, con entrambe le squadre schierate a centrocampo, i giocatori della Fiorentina si rivolgono verso la tribuna autorità sollevando il braccio destro. Tutti tranne uno. Dieci giocatori su undici fanno il saluto fascista, Bruno Neri invece resta fermo e indifferente. Forse pensa già alla partita. Forse pensa a quello che ha (o non ha) appena fatto e chissà, magari anche alle conseguenze che potrebbe avere il suo atteggiamento.

Bruno Neri: una vita da terzino

Nato a Faenza il 12 ottobre del 1910, Neri cresce in una famiglia piccolo borghese. Appassionato di arte, letteratura e poesia, viene su frequentando diversi artisti e partecipando con costanza a mostre ed eventi mondani. Ma c’è qualcosa che lo distrae da quella vita apparentemente così appagante e piena. C’è l’amore per il gioco del calcio a catalizzare ogni attimo della sua esistenza. Tirare calci a un pallone è la cosa che meglio gli riesce e coincide anche con la cosa che lo rende felice. La sua vita è segnata e il suo futuro è scritto. Sarà un calciatore. Un terzino destro, per la precisione.

Esordisce appena sedicenne con il Faenza, la squadra della sua città. Tre anni più tardi il suo cartellino viene ceduto per diecimila lire alla Fiorentina. Con i viola conquista la promozione in serie A e inizia a farsi notare per le sue doti tecniche che lo porteranno con il tempo anche a giocare in posizioni più avanzate del campo. Sulle sponde dell'Arno disputerà quasi duecento partite e poi dopo un anno con la maglia della lucchese (sempre in serie A), nella stagione calcistica 1936-37 passa al Torino dove resterà per tre anni. In maglia granata terminerà la carriera. Forse in maniera prematura, a causa dell’incombere della Seconda Guerra Mondiale.

In che ruolo della storia vuoi giocare?

È certamente un caso, ma è ancora settembre quando avviene un altro momento fondamentale per la vita di Neri. È il 1943 e dopo l’armistizio con la conseguente resa incondizionata dell’Italia agli alleati, Bruno Neri si arruola con la resistenza partigiana assumendo il nome di battaglia “Berni”, una sorta di anagramma del suo cognome unito alla prima lettera del suo nome. In un momento di caos collettivo, Neri ha le idee chiarissime. Sa da che parte della storia vuole stare e diventa il vicecomandante del Battaglione Ravenna in azione sulla Linea Gotica, uno dei luoghi strategici per la guerra di resistenza nel Paese.

Il 10 luglio del 1944 durante una perlustrazione nei pressi dell’Eremo di Gamogna, sul confine tra Toscana e Romagna, a pochi decine di chilometri dalla sua città di nascita, cade in un’imboscata nazista e per lui non c’è scampo. Sulla sua morte, o meglio sul luogo della sua morte, ha scritto bellissime parole il giornalista Valerio Moggia. Ve ne proponiamo un piccolo estratto:

Gamogna. Poche mura erte sul crinale dell’Appennino. Quando hanno scritto Bella ciao, avevano probabilmente in mente un posto del genere, nell’immaginare l’ipotetica morte di un partigiano “all’ombra di un bel fior”. Allora lì, tra quella comunità monastica vecchia di quasi mille anni, reperto di una collina che andava spopolandosi davanti all’inesorabile avanzare dell’inurbazione, di fiori ce ne dovevano essere due, perché il Berni era morto accanto al Nico, il suo comandante, che di nome faceva Vittorio Belleghi.

La parte giusta della Storia

A volte la vita non ti lascia il tempo di scegliere e devi agire in fretta altrimenti sceglie lei per te. Bruno Neri non ebbe mai questo problema, perché non ebbe ma un dubbio. E sì che sarebbe stato normale averne. Scelse sempre velocemente quando fu messo davanti al bivio tra la vita borghese e quella da terzino di spinta. Pochi gol in carriera, ma ben tre presenze in nazionale.

Scelse consapevolmente quel giorno a Firenze quando fu l’unico a non tendere il braccio in onore del Duce in uno stadio che proprio il Duce ti ricorda, se lo osservi dall’alto.
E non ebbe dubbi nemmeno qualche anno dopo quando l’Italia vacillò alla notizia dell’armistizio e lui scelse subito con quale squadra schierarsi.

Bruno “Berni” Neri scelse di stare dalla parte della libertà, dalla parte dei giusti. Anzi: dalla parte giusta della Storia. Questo racconto poteva iniziare in tanti modi – lo abbiamo detto – ma solo in un modo può finire, rendendo omaggio a Bruno Neri: nato borghese, vissuto calciatore e morto da partigiano, mentre sognava un’Italia giusta e libera.

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