Oggi è il giorno in cui Enzo Ferrari avrebbe compiuto 125 anni.
Non una cifra rotonda, come si usa quando i festeggiamenti sono da intendersi in grande formato, quando cioè l’ultimo numero è uno zero. E nemmeno una cifra casuale. Quel numero cinque rende questa celebrazione quadrata, incastrabile - come un pezzo del Tetris - dentro una miriade di altre idee. Un anniversario utile a favorire pensieri più che veri e propri festeggiamenti.
Ferrari e i bivi della sua vita
Nei primi anni Ottanta, Ferrari, ripercorrendo la sua vita durante un’intervista televisiva rilasciata ad Enzo Biagi, dichiarò che da adolescente aveva davanti a sé tre possibili prospettive di vita: il tenore di operette, il giornalista sportivo e il pilota di automobili.
Tra Ferrari e l’operetta non ci fu mai nulla di serio, solo tanti ricordi di infanzia e tante serate in famiglia passate a teatro. Come giornalista sportivo invece qualche passo lo mosse, scrivendo prevalentemente di calcio su La Gazzetta dello Sport, e successivamente, quando era già nel pieno della sua attività agonistica, contribuì a fondare il Corriere dello Sport, restando fino al 1926 nel Consiglio di Amministrazione.
Infine le macchine, naturalmente. Al volante si tolse diverse soddisfazioni, ma decise di smettere anzitempo, agli inizi degli anni Trenta, più o meno in concomitanza con la nascita di suo figlio Dino.
È in questa passione per i motori che cresce e si sviluppa una delle figure più innovative che il nostro Paese abbia mai conosciuto.
Enzo Ferrari un imprenditore moderno
Possiamo affermare che Ferrari sia stato per l’Italia – con quasi cento anni di anticipo - quel genere di imprenditore che va di moda oggi. Quello che potremmo definire come l’uomo d’affari totale, che sperimenta in prima persona, costruisce, investe e poi trionfa sui mercati e conquista le persone. Insomma, il classico imprenditore della Silicon Valley che dichiara di essersi fatto da solo, iniziando a collezionare cadute e successi già durante l’adolescenza nel garage dei suoi genitori.
Pensate a Jeff Bezos o a Richard Branson che, oltre a investire per portare l’uomo nello spazio, ci sono andati loro stessi. E lo hanno fatto per primi, mettendoci la faccia e di fatto rischiando.
Ferrari è stato questo. Innovatore in questo modo, ma ovviamente proiettato nella sua epoca. Lui costruiva e rischiava sfidando il tempo e la velocità, produceva e vendeva, diventava ricco ma non perdeva quella passione che lo teneva lì a ragionare su pistoni e grasso, motori e aerodinamiche.
La storia imprenditoriale di Ferrari, se letta in questa prospettiva, è di un’attualità sconvolgente. Dovrebbe essere una case history da prendere ad esempio, e invece sempre più spesso (non è un peccato, intendiamoci!) si parla più dell’azienda e non del suo fondatore.
Impossibile, per chi scrive, non porsi allora la più scontata delle domande: e se Ferrari fosse in vita oggi? Quanto servirebbe all’Italia un uomo del genere? Con i se e con i ma non si cambia il mondo e non si fa la storia, però la risposta – abbastanza scontata – rappresenta un interessante esercizio di stile che vi invito a fare.
L’eredità di Ferrari
Enzo Ferrari sosteneva che la vittoria più importante era sempre quella che ancora non esisteva, quella che doveva andarsi a prendere nella sfida successiva. E quella mentalità non si acquisisce sui libri e non si compra con un MBA, ma ti cresce dentro lavorando in officina e pregando chissà quale Dio mentre prendi una curva a bordo di un autoveicolo che fa più rumori di un vulcano in eruzione.
Mise il cavallino rampante sulle sue automobili in onore di Francesco Baracca, l’asso dell’aviazione italiana che aveva quel simbolo sulla carlinga del suo aeroplano. Pertini non volle farlo diventare senatore a vita, perché quelli come lui – diceva - non hanno bisogno di tuniche e ornamenti.
Ed era vero.
A chi gli domandava se la sua auto personale fosse una Ferrari, diceva che non poteva permettersela e spesso si ritrovava a dire che lui non era né un progettista né un calcolatore. Si definiva soltanto un agitatore di uomini e di talenti. Era vero e questo forse è stato il suo più grande pregio: saper riconoscere il talento sportivo, intellettuale, ingegneristico e lavorare per valorizzare le persone, portando il suo cavallino in cima al mondo.
Fosse vivo oggi, forse Ferrari lavorerebbe per portare un razzo tutto rosso su Marte. Ci lavorerebbe giorno e notte, incessantemente, fino alla vittoria finale.
E poi via di corsa, a cercare nuovi obiettivi, agitando uomini e talenti.
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