Umbre de muri,
muri de maine’
dunde ne vegni,
duve l’e’ ch’a ne’
Pensate che quando Francesco Petrarca battezzò la città di Genova “la Superba”, innamorandosene, poteva vedere ben poco di quello per cui oggi questa città, per noi, è piena di meraviglia.
Poteva passeggiare per gli stretti caruggi, i suoi vicoli del centro, perdersi in questo labirinto, osservarne l’umanità che lo abitava, chiacchierare con l’austera nobiltà cittadina.
Poteva godersi il vociare del porto, vedere le immense navi lì attraccate, ammirare le ricchezze che provenivano dal mare.
Si perdeva, però – per ovvie ragioni cronologiche –, i palazzi liberty di Via XX Settembre, la ricchezza sfrontata della borghesia industriale, la spianata di Castelletto, dov’era solo una fortezza, la più alta della città (ne parlerà, invece, Giorgio Caproni, estasiato dall’ascensore che porta fin lassù, nel suo paradiso).
Si perdeva la musica di De André, forse mangiava un antenato della focaccia, di sicuro non assaggiava – gravissimo! l’avesse fatto, “Superba” non sarebbe bastato – il pesto.
Nonostante questo, Genova rimane una città che fin da allora esercita il suo fascino su chiunque la abiti e riesca a coglierne la bellezza.
E alcune di queste persone sono addirittura riuscite a trovare le parole giuste per parlarne.
Anche se oggi le parti più famose di Genova sono il porto – alzi la mano chi alle elementari non è andato in gita all’acquario almeno una volta – e la già citata Via XX Settembre per i suoi negozi, il vero centro della città sono quelle vie strettissime che, nella lingua cittadina, sono dette caruggi. Fare quattro passi qui significa già di per sé vivere una storia fatta di personaggi strampalati, profumi – puzze, anche, va detto – panni stesi da una finestra all’altra e atmosfere surreali.
Il luogo ideale dove perdersi, letteralmente (e letterariamente).
Non solo Genova ha dato i natali al premio Nobel Eugenio Montale, che con le sue poesie ha saputo mettere sulla pagina l'essenza della Liguria, i suoi colori, le sue tradizioni, ma è anche luogo d'elezione del genere più famoso e apprezzato che vi venga in mente.
Il fascino dei caruggi, infatti, è tutto misterioso, e non è un caso che Genova sia un’ambientazione molto amata dai giallisti.
Dalle indagini di Bacci Pagano create dalla penna di Bruno Morchio – i libri perfetti per chi ha voglia di scoprire i segreti della città – alle indagini di Paolo Nigra e ai titoli dell’editore Frilli, per chi ama il giallo all’italiana a chilometro zero, Genova è un palcoscenico ideale per le storie crime più appassionanti.
Ma ovunque andiate, fra i vicoli o seduti al bordo della fontana in De Ferrari, la colonna sonora ce l’avete già bell’e pronta.
Sì, perché a Genova c’è una voce che è stata capace – e che è capace ancora oggi, a dirla tutta – di raccontare una città splendida, ma difficile, contraddittoria, dalle molte facce: è la voce di Fabrizio De André, il cantore della Superba. Si possono trasformare in musica le mulattiere strette e impervie che attraversano la città, le prostitute di via del Campo, l’inondazione del torrente Polcevera del ’70, la varietà umana di una città incastrata tra l’infinito del mare e la durezza della montagna? Be’, Faber c’è riuscito.
E se la cultura di Genova passa per le parole, la sua musica, il suo dialetto (anch'esso musica) non possiamo tralasciarne un aspetto fondamentale, di cui i genovesi sono orgogliosi e gelosi al contempo: la cucina.
Sarà il profumo fresco del basilico di Pra’, quello avvolgente della focaccia appena sfornata, il borbottare dell’acqua per cuocere i pansoti con la salsa di noci, ma l’identità di Genova è anche nei suoi piatti.
Ricette semplici, con pochi ingredienti – no, non perché i genovesi hanno fama di essere spilorci! – ma che sono l’inconfondibile segno del trovarsi immersi, con tutti i sensi, nella bellezza.
Genova è una città dal passato glorioso e dall'orgoglio intatto, fiera e superba come ne dice il soprannome, capace di raccogliere le istanze del mare e della terra, e perciò sempre in movimento, eppure statica nella sua natura. Genova sono i genovesi che sono ancora lacerati dal crollo del ponte Morandi e che non si fermano nella loro ricerca di giustizia.
Sono i genovesi che mal sopportano il turismo ma sanno, in cuor loro, di vivere in una delle città più affascinanti al mondo, dai palazzi dei Rolli alla vita brulicante del porto, a quel gioiello da cartolina che è Boccadasse. Se la vorrebbero tenere tutta per loro. Come dargli torto?
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