La redazione segnala

Jamaica Kincaid: la scrittrice tra l'ora e l'allora

Immagine tratta dal libro "Mio fratello, di Jamaica Kincaid, LUMEN , 2022"

Immagine tratta dal libro "Mio fratello, di Jamaica Kincaid, LUMEN , 2022"

Anche quest’anno dobbiamo essere grati ad Archivio Aperto, festival bolognese di Home Movies dedicato alla riscoperta del patrimonio audiovisivo privato, diaristico, familiare.

È infatti grazie a questo festival - e al sostegno del settore delle biblioteche e Patto per la Lettura di Bologna - che lo scorso ottobre abbiamo potuto ascoltare il Premio Nobel Annie Ernaux, e nel pomeriggio di oggi ascolteremo la scrittrice statunitense, nata ad Antigua, Jamaica Kincaid. L’incontro sarà introdotto da Nadia Terranova e moderato da Francesca Maffioli, curatrice insieme a Giulia Simi della sezione del festival Poetry, Diaries and Novels.

Vedi adesso allora
Vedi adesso allora Di Jamaica Kincaid;

Nel romanzo che segna il suo ritorno dopo dieci anni di silenzio, Jamaica Kincaid, ormai lontana dai Caraibi, ci racconta la storia di un matrimonio un matrimonio finito. Il suo, forse: l'epoca, la casa (nel Vermont), il marito (musicista), i figli (un maschio e una femmina), la professione della signora Sweet (scrittrice) corrispondono in tutto e per tutto alla vita reale dell'autrice.

La centralità dell’autobiografismo nell’opera di Kincaid, pubblicata in Italia dalla casa editrice Adelphi, si inserisce perfettamente nel tema della sedicesima edizione del festival volto ad indagare il futuro della memoria, le forme per narrare il passato: ossia a vedere allora e adesso, come ha scritto l’autrice nel suo ultimo romanzo, dal titolo appunto Vedi adesso allora (2013).

La scrittura di Kincaid si muove proprio su questa linea in cui vedere e narrare il passato implica necessariamente uno sdoppiamento tra ciò che siamo stati e ciò che siamo.

Kincaid analizza questo meccanismo con grande lucidità in Biografia di un vestito, un testo di pochissime pagine del 1992, e pubblicato in Italia solo nel 2023 per la collana Microgrammi.

Biografia di un vestito
Biografia di un vestito Di Jamaica Kincaid;

«E chi era veramente quella bambina? (Allora non lo chiesi perché allora non sapevo chiedere ma lo chiedo adesso). E chi aveva fatto il suo vestito?».

L’autrice vi racconta il dolore insopportabile provato da bambina dopo essersi fatta forare i lobi delle orecchie:

Fu allora che per la prima volta separai me stessa da me stessa e divenni due persone (due bambine piccole, allora, avevo due anni), una che faceva l’esperienza, l’altra che osservava quella che la faceva. E l’osservatrice, forse perché era un mio atto di volontà (forte allora, ma più forte adesso), il mio primo e unico vero atto di autoinvenzione, è quella delle due su cui faccio più affidamento, quella delle due la cui voce credo sia la vera voce; e naturalmente è l’osservatrice quella su cui non si può fare affidamento per la verità ultima a cui credere, poiché l’osservatrice ha tessuto tra me stessa e la persona che fa l’esperienza una membrana protettiva, che mi consente sì di vedere ma di sentire solo quel tanto che posso affrontare al momento

L’osservazione, affidata in questo testo, più ancora che in altri, alle parentetiche che spezzano continuamente il discorso nell’intento di evidenziare la separazione tra adesso e allora, è una caratteristica importante della scrittura di Kincaid, particolarmente incline all’autoriflessione, all’esplorazione della psiche, ma con uno sguardo mai autoreferenziale e accompagnato da un’attenzione particolare ai fattori storico sociali, ai dispositivi del potere che pesano sulle nostre condizioni esistenziali.

Il passo riportato è particolarmente interessante proprio per riflettere sul rapporto tra scrittura e passato, o più in generale tra scrittura e vita. Avere a che fare con la memoria del proprio passato presume in Kincaid le due azioni di inventariare e di inventare: dove l’invenzione, o meglio l’autoinvenzione, serve da membrana protettiva che consente a chi scrive di “camuffare” la realtà, la “collezione di persone che eri e di cose che facevi”, specie quando troppo dolorosa.

Annie John
Annie John Di Jamaica Kincaid;

Proprio la geografia di Antigua permea la prosa incantatoria del suo primo romanzo: gli alisei, i riti della pesca e dell’obeah si confondono in un’unica musica palpitante, mentre l’albero del pane e le sgargianti poinciane stonano con la chiesa anglicana, con la divisa scolastica, con i quaderni che hanno in copertina la regina Vittoria.

Ripercorrendo l’opera di Kincaid a partire dall’esordio ci accorgiamo come ogni testo segua anche cronologicamente momenti decisivi della vita dell’autrice. Così nel primo poeticissimo libro In fondo al fiume (1983), attraverso la metafora dell’acqua e della luce, l’autrice ripercorre la propria infanzia e il rapporto con la madre, che verrà indagato a fondo nel primo romanzo, Annie John (1985) e poi sviscerato nel magnifico Autobiografia di mia madre (1996), ma di fatto onnipresente in tutte le sue opere.

Autobiografia di mia madre
Autobiografia di mia madre Di Jamaica Kincaid;

Le vicende di Xuela, figlia di una madre caraibica e di un padre per metà scozzese e per metà africano, abbandonata insieme a un mucchio di panni sporchi mentre la madre moriva di parto, aprono un variegato itinerario nell'infelicità dove le durezze del mondo si scontrano con un carattere torvo e visionario.

In Un posto piccolo (1988), una vera e propria controguida di Antigua, l’attenzione si concentra sulle ferite coloniali, impossibili da rimarginare, e sui devastanti effetti della globalizzazione, smascherando così l’immagine paradisiaca confezionata per i turisti; in Lucy (1990), breve ma intensissimo racconto dell’arrivo negli Stati Uniti di Lucy-Jamaica “ragazza alla pari”, si esplora il legame con le proprie radici nel momento del distacco e della separazione, che è poi ciò che consentirà alla protagonista di trovare un proprio posto nel mondo; in Mio fratello (1997) si racconta l’agonia del fratello morto di Aids; in Mr Potter (2002) è attorno la vita del padre mai conosciuto, attorno alla sua assenza che si costruisce il legame padre-figlia, come già specularmente era accaduto in Autobiografia di mia madre, dove la voce narrante Xuela viene alla luce nel momento in cui la madre muore di parto, come a voler suggerire nella morte della madre l’unica possibilità per Xuela di esistere, e contemporaneamente l’impossibilità di prescindere da quella perdita, la condanna a sentirsi monchi nel preciso momento in cui cominciamo come individui a vivere, separandoci dall’utero materno:«sono nata nel momento in cui mia madre moriva» è il tetro ritornello che scandisce Autobiografia di mia madre, che come il titolo stesso suggerisce, è un paradosso, un’autobiografia impossibile.

Mr. Potter
Mr. Potter Di Jamaica Kincaid;

Mr. Potter è un tassista analfabeta che vive in una delle isole più belle del mondo, un "posto piccolo" incastonato nell'azzurro del mar dei Caraibi. Nasce nel 1922 e la sua vita scorre parallela a quella della sua terra, Antigua, una terra da cui non uscirà tutta la vita.

Infine, dopo dieci anni di silenzio, in Vedi adesso allora Kincaid ci racconta il naufragio di un matrimonio con una prosa ossessiva, dal ritmo ipnotico, scandito da continue ripetizioni, in primis “nella casa di Shirley Jackson”, che è sì il luogo dove si svolge la storia ma nondimeno un esplicito rimando a una scrittrice, Jackson, che è maestra nel raccontare, con feroce lucidità e tagliente ironia, i legami familiari.

Ogni libro rappresenta pertanto un tassello con cui Kincaid compone la propria autobiografia; ma, come già si diceva, l’autobiografia è continuamente travestita, insidiata, depistata dalla ricorrenza di alcuni episodi, soprattutto dettagli, che ritornano in ogni testo, con piccole varianti, a partire da quelle onomastiche.

Basta pensare alla scelta della scrittrice, nata Elaine Cynthia Potter Richardson, di cambiare nome in Jamaica Kincaid perché la famiglia disapprovava il fatto che scrivesse, ma forse anche perché, cambiando nome, poteva in qualche modo “liberarsi” delle proprie origini, e trovare una propria identità e un proprio posto nel mondo; cosa che accade proprio grazie alla scrittura.

Per intenderci, Elaine, Cynthia, Potter, Richardson non scompaiono bensì si ripresentano nei libri come schegge; allo stesso modo, i nomi “inventati” rimandando ad altre suggestioni autobiografiche, come Lucy, diminutivo di quel Lucifero che tanto aveva affascinato Kincaid bambina quando fu obbligata a ricopiare i primi due libri del Paradiso perduto di Milton, ma anche Lucy come l’Australopithecus afarensis, la nostra madre africana.

Di più: oltre ad evocare, i nomi si prendono gioco di noi, affermando sarcasticamente il contrario di ciò che siamo (l’ironia è una caratteristica importante nell’opera della scrittrice) e così i coniugi Sweet in Vedi Adesso Allora, non sono per nulla dolci tra di loro, e neppure con i loro figli Heracles e Persephone, obbligati dai genitori a portare nomi decisamente ingombranti.

E alla fine il proprio nome, quale che potesse essere, non era la porta che si apriva su ciò che si era realmente, e non si poteva continuare a dire a se stesse «Io mi chiamo Xuela Claudette Desvarieux». Questo era il nome di mia madre, ma non potrei dire che fosse il suo vero nome, perché in una vita come la sua, così come nella mia, che cos’è un vero nome? Io mi chiamo come lei, Xuela Claudette, e al posto di Desvarieux c’è Richardson, che è il nome di mio padre; ma chi sono queste persone, Claudette, Desvarieux, Richardson? Se si guarda bene la cosa, se ci si pensa un po’, ci si sente riempire di disperazione; e di un’umiliazione che può solo portare abbrutimento e odio per se stessi. Perché il nome di una persona è al tempo stesso la sua storia riepilogata e abbreviata, e nel pronunciarlo quella persona pone se stessa in alto o in basso; e la persona che lo sente pone chi lo ha pronunciato in alto o in basso

Il nome si potrebbe definire un “effetto-affetto" del potere che gli altri (in primis i genitori) esercitano su di noi. La stessa funzione viene attribuita da Kincaid al vestito che non è solo una metafora bensì un vero e proprio “significante padrone”, per prendere in prestito un concetto chiave della psicanalisi lacaniana. A parte Lacan, di vestiti, panni e stoffe pullulano i libri di Kincaid.

Ogni momento importante della vita, morte inclusa, è accompagnata da un vestito. L’abito è una sorta di marcatore simbolico, che finisce per definirti, e pure discriminarti, crescendo sul corpo come una seconda pelle: così i panni di poliziotto del padre in Autobiografia di mia madre.

Oppure ti viene cucito addosso, come il vestito di Jamaica nella foto in bianco e nero che la ritrae il giorno del suo secondo compleanno e che la madre aveva visto in una rivista:

Quell’immagine di bambina con indosso un vestito giallo ricamato a punto smock sul davanti del bustino forse creò in mia madre il desiderio di avere una figlia così o forse creò in mia madre il desiderio di provare a rendere così la figlia che già aveva. Non lo so adesso e non lo sapevo allora. E chi era veramente quella bambina?

Quel vestito, dunque, che è come una proiezione del desiderio materno a cui la figlia non sempre è in grado di rispondere e da cui ci si vorrebbe spogliare, diventa allo stesso tempo uno stratagemma per non separarsi dalla madre, come in Annie John quando la protagonista racconta di essere andata insieme alla madre a prendere una stoffa, sempre di colore giallo, da cui desidera ricavare un abito per entrambe:

“«Oh, no. Ormai sei troppo grande per queste cose. È ora che tu abbia i tuoi vestiti. Non puoi continuare sempre a vestirti come una piccola me». Non esagero se dico che mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Non solo per quello che aveva detto, ma per come lo aveva detto. Senza una risatina d’accompagnamento. Senza chinarsi a baciarmi la piccola fronte madida (perché d’un tratto mi era venuto caldo, poi freddo, e i miei pori dovevano essersi aperti, perché ne uscivano rivoli di sudore). Alla fine ebbi il vestito con i suonatori di piano, mentre mia madre se ne fece uno con enormi ibischi rossi e gialli; ma non riuscii mai a indossare il mio vestito, o a vedere mia madre con il suo, senza provare amarezza e odio, non tanto nei confronti di mia madre quanto, credo, della vita in generale”.

Nomi e vestiti ci conducono dentro il rapporto tra madre e figlia che è il tema fondante dell’opera di Kincaid, da cui tutto si dipana. D’altra parte, come l’ha definita la stessa Kincaid, la madre è come "una strada grande”:

la traiettoria del rapporto tra una figlia e la propria madre è come quella di un pianeta che ruota intorno alle stelle. C’è il giorno, c’è la notte, c’è lo stare in mezzo

(Sebastiano Triulzi, Tutta la letteratura nel nome della madre, La Repubblica, 15 aprile 2011). Insomma, il suo sguardo, la sua mancanza o la sua eccessiva presenza, sono determinanti. In Autobiografia di mia madre l’assenza dello sguardo materno impedisce che tra osservato e osservatore scorra “quella corrente invisibile” che “per molti rispetti”, precisa Kincaid, “è una definizione dell’amore”:

Me, nessuno mi osservava e nessuno mi contemplava, ero io che osservavo e contemplavo me stessa; la corrente invisibile partiva da me e ritornava a me. Arrivai ad amare me stessa per spavalderia e per disperazione, perché non c’era nient’altro. Un amore del genere è sufficiente, ma niente di più, non è il tipo migliore; ha il sapore di qualcosa che è rimasto troppo a lungo in una credenza e si è irrancidito, e quando lo si mangia dà il voltastomaco. È sufficiente, è sufficiente, ma solo perché non c’è nient’altro che possa prendere il suo posto; non è certo auspicabile

Ecco che allora Xuela, incapace di ricevere amore, perché non “guardata”, inizia a guardare sé stessa, il proprio corpo, nel disperato tentativo di amare almeno sé stessa. Le pagine sull’autoerotismo sono potentissime, toccanti, e insieme politiche; perché attraverso il rapporto tra madre e figlia, tra osservatore e osservato, ma anche tra potenza e impotenza, Kincaid arriva a riflettere sulla storia dell’Europa, sul rapporto tra paesi conquistatori e conquistati.

Come ha osservato Massimiliano Catoni nel profilo della scrittrice sull’Indice dei libri dello scorso giugno «che si tratti di rapporti fra individui (non necessariamente madre e figlia), o del rapporto fra un individuo e la propria storia, sembra che per Kincaid non ci sia modo di sottrarsi allo schema servo-padrone».

«Dominio». Una parola come questa ossessionava una persona come me”, riflette Lucy, dopo aver creduto di sentire pronunciare dalla signora americana per la quale lavora “dominii” anziché “beniamini”.

D’altra parte il luogo da cui proviene Lucy e tutte le “incarnazioni onomastiche” di Kincaid (l’espressione è di Catoni), è stato il “dominion” di un altro paese. Una ferita insanabile, da cui nasce la potente, feroce e lucida scrittura di Jamaica Kincaid. 

I libri di Jamaica Kincaid

Autobiografia di mia madre

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2020

Annie John

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2017

Vedi adesso allora

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2014

Lucy

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2008

In fondo al fiume

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2011

Un posto piccolo

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 2000

Mio fratello

Di Jamaica Kincaid | Adelphi, 1999

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Jamaica Kincaid, nata Elaine Cynthia Potter Richardson è una scrittrice antiguo-barbudana con cittadinanza statunitense. Vive con la sua famiglia a North Bennington in Vermont.Nel 1973 ha cambiato il suo nome in Jamaica Kincaid perché la sua famiglia disapprovava il fatto che scrivesse. La sua prima esperienza di scrittura riguarda una serie di articoli per la rivista Ingenue. Ha lavorato per The New Yorker fino al 1995.Il suo romanzo Lucy (1990) è una descrizione immaginaria della sua esperienza di diventare adulta in un paese straniero e continua la narrazione della sua storia personale iniziata col romanzo Annie John (1985, edizione Adelphi 2017). Altri romanzi, quali The Autobiography of My Mother (1996, pubblicato da Adelphi nel 2020 con il titolo Autobiografia di mia madre), esplorano la questione del colonialismo e della rabbia che questo ricordo le provoca.Ha inoltre pubblicato una raccolta di racconti, At the Bottom of the River (1983) ed una di saggi, A Small Place.Il rapporto tra madre e figlia che è uno dei temi fondanti dell’opera di Kincaid, da cui tutto si dipana.«La traiettoria del rapporto tra una figlia e la propria madre è come quella di un pianeta che ruota intorno alle stelle. C’è il giorno, c’è la notte, c’è lo stare in mezzo.»Ha ricevuto una borsa di studio Guggenheim, il Lannan Literary Award for Fiction, il Prix Femina étranger, l'Anisfield-Wolf Book Award, la Clifton Fadiman Medal e, nel 2017, il Dan David Prize for Literature. Nel 2022 ha ricevuto il Premio Hadada da "The Paris Review". È professore di studi africani e afroamericani all'Università di Harvard. Ha inoltre ricevuto una laurea honoris causa in lettere dalla Wesleyan University. La sua saggistica comprende Mio fratello, una cronaca della battaglia del fratello contro l'AIDS, oltre a Un posto piccolo, in Italia tutti pubblicati da Adelphi. Tra i titoli più recenti ricordiamo anche il breve testo Biografia di un vestito (Adelphi 2023).Fonte immagine: edizioni Adelphi

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