Finché una città trova parole per parlare di sé, fa emergere contrasti all'interno di questo discorso e riesce a interessare anche gli altri, vuol dire che non è morta
Di casa a Roma, ma con Napoli nel cuore, ci lascia oggi a quasi cento anni Raffaele La Capria, scrittore e sceneggiatore.
Cresciuto nel palazzo monumentale Donn'Anna a Posillipo, La Capria aveva trascorso i suoi primi anni di formazione sotto l'influenza del fascismo, non lasciandosi, però, sfuggire qualche lettura poco ortodossa.
Dopo una breve esperienza nelle armi a vent'anni, per la quale si era sentito sempre inadatto, La Capria si era ritrovato in una città, Napoli, che al tempo occupata dagli angloamericani offriva grandi opportunità a ragazzi come lui, molti dei quali suoi amici, nomi destinati a diventare importanti: Antonio Ghirelli, Massimo Caprara, Rosi, Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio Napolitano.
Erano poi gli anni del PCI, ma a differenza di molti suoi amici, incantati dal suo fascino, La Capria guardava sì a sinistra, senza esserne pienamente preso.
Erano anche gli anni di un grande abbandono: la partenza da Napoli, la città riprecipitata nella mediocrità provinciale, un mortorio dal quale era meglio andarsene. Un arrivederci sofferto, un disagio dal quale nacque il primo romanzo, Un giorno d'impazienza, ancora acerbo rispetto a Ferito a morte.
Questa la grande opera di La Capria, con la quale vincerà il Premio Strega nel 1961. Una narrazione su piani multipli, una sovversione della successione temporale. Non di certo un romanzo facile, ma apprezzato dal pubblico. Una storia che parla della natura disabitata dall'uomo, il fondo marino dove il protagonista, Massimo, pratica la pesca subacquea. Ma non solo.
Una storia che è la narrazione di un dolore sordo, lancinante che tutti abbiamo sperimentato nella vita: la delusione amorosa. E anche la spensieratezza di un gruppo di ragazzi irresponsabili e ingenui, la borghesia partenopea che, assopita nel suo status, viene dipinta senza alcun tipo di sconto da La Capria.
Su questo, gravitano "la straziante dolcezza di ciò che è irrecuperabile" e "il perdere di senso della vita come un velivolo che perde inesorabilmente quota", per citare Geno Pampaloni.
Non solo scrittore, ma anche sceneggiatore con il suo amico Francesco Rosi. Per Le mani sulla città aveva vinto anche il Leone d'Oro al Festival del cinema di Venezia nel 1963, un film denuncia del malgoverno partenopeo.
La Capria, però, non si è fermato qui. Autore di Amore e Psiche, di False partenze, La neve del Vesuvio, La mosca nella bottiglia e Lo stile dell'anatra, è erroneamente considerato un autore di respiro napoletano. In realtà, la sua ricerca letteraria ha un grande respiro internazionale. George Orwell, Bill Weaver, Herry Kissinger. Solo alcuni dei nomi della sua vita.
Sposato prima con Fiore Pucci, dalla quale ha avuto la figlia Roberta, e poi con l'attrice Ilaria Occhini, dalla quale ha avuto Alexandra, La Capria è sempre stato un animatore della vita culturale. Le sue parole le abbiamo ritrovate nelle pagine del «Corriere», si era aggiudicato il Premio Campiello alla carriera nel 2001 e non aveva mai smesso di intervenire nel dibattito culturale.
Un uomo che non apprezzava la televisione, odiava i talk show urlati, ma aveva scoperto il computer, un alleato perfetto, diceva. Un uomo, insomma, che a quasi cento anni era ancora curioso del mondo e della vita.
Dobbiamo accostarci con meraviglia alle cose. Come se fosse sempre la prima volta
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