Le feste natalizie sono appena passate e con loro il momento sublime e perturbante in cui la famiglia è al suo massimo splendore e raccoglie intorno a sé quel tripudio di parenti che durante l’anno si sono, a volte piacevolmente, dimenticati.
Scommetto che molti hanno avuto al proprio tavolo almeno un narcisista, ma la scommessa è facile visto il loro numero in crescita continua. Chi non ha passato ore con un cugino, una zia, un fratello, una nipote, un cognato accentratore, che parla continuamente, raccontando cose che non interessano veramente nessuno, ma che non si riesce a smettere di ascoltare?
Sono figure che sembrano portare la gaiezza in tavola, che risolvono le impasse della conversazione, ma che in realtà la deprimono facendo mancare un adeguato spazio espressivo e relazionale a tutti gli altri. Eppure, non si può fare a meno di ascoltarli, non solo per educazione o perché parlano sempre loro, ma per il fatto più sottile che i narcisi hanno qualcosa di calamitante, quasi di inumano. O, meglio, di disumano: infatti, per un Narciso l’Altro non esiste; esistono gli altri.
L’Altro è sempre un limite per ognuno, è ciò che fa sentire la propria umanissima finitezza. Gli altri, usati dal narcisista, sono invece solo un pubblico lì a disposizione, intrappolato nei rituali famigliari, costretto ad ascoltare senza poter ribattere o cambiare discorso. Al massimo è consentito un intercalare che fa da spalla.
Il narcisista cerca l’indispensabile platea che non fa argine, confine, barriera, ma che lo esalta e lo eccita. Ascoltatori passivizzati che non gli fanno provare quell'insufficienza soggettiva che ci rende tutti umani e che ci spinge a legarci a quell’Altro, diverso da noi, che fa da frontiera, oltre la quale esiste un altro mondo di cui tener conto.
Narciso immagina che gli altri lo ammirino e, se ciò non accade, si sente incompreso, cosa che accade spesso perché l’apprezzamento tributatogli non è mai sufficiente: può sentirsi addirittura una vittima, immaginaria naturalmente.
Colui che potrebbe costituire un argine alla sua icona fuori limite viene rovesciato in uno specchio della sua grandezza e – questo è l’essenziale – qualunque cosa faccia: anche qualora gli altri non gli dimostrino abbastanza stima, il narcisista semplicemente riesce a non tenerne conto, immerso com'è nel suo delirio d’immenso.
Allora, gli altri, così indispensabili al narcisista, lo sono a patto di non assurgere al diritto di soggetti, venendo declassati a una serie di singoli, resi tutti uguali dalla loro funzione riflettente l’Io narciso.
Dunque, gli altri gli sono essenziali, ma solo in quanto serie non soggettivata. E allora, se non c’è un soggetto che fa limite, come può il narcisista essere a sua volta un soggetto, dato che, in quanto tale, è soggetto a limiti e imperfezioni? Egli sembra non sapere che si è pur sempre soggetti, tutti, a qualcosa.
Dunque, se non può pensare a se stesso come soggetto, istituisce una paradossale simmetria con gli altri: anche lui non esiste, come non esistono gli altri. Come se, in presenza di un narcisista, si precipitasse tutti in un gioco di de-realtà, come direbbe Barthes.
Per sentirsi esistere il narcisista ha bisogno di uno sguardo esterno: possibilmente lo sguardo di Dio, probabile metonimia di uno sguardo materno costantemente lodante, incessantemente concentrato su di lui.
Il narcisista a tavola, al bar, nello spogliatoio – e persino a letto – ripete sempre lo stesso schema, le stesse frasi, le stesse pose, gli stessi aneddoti, ed è per questo che ha sempre bisogno di nuovo pubblico, così come di nuovi partner. Narciso è nella ripetizione e non nella generazione: è sterile, non raramente anche nella funzione sessuale.
Non a caso, ha poca relazione col futuro e spesso immagina che il mondo finisca con lui (après moi le déluge). Un narciso non ha nemmeno il senso del futuro, né della prospettiva: non conosce distanze e proporzioni, «si schiaccia sul suo doppio» come dice Lacan.
In un certo senso, nella geometria della vita, è decisamente un asino.
In amore idealizza il partner finché sembra irraggiungibile, per poi svalutarlo non appena diventa possibile. Il fatto è che, in fondo, ama male anche se stesso così come ama male gli altri.
Ovidio, nelle Metamorfosi, mostra Narciso che si lascia morire perché non può afferrare l’oggetto della sua passione, cioè la sua immagine.
Il narcisista non fa pace con il dato di realtà che nessuno è afferrabile.
E che lui non fa certo eccezione.
In questo grande classico della letteratura latina, l'autore intende tracciare attraverso la sequenza di circa 250 trasformazioni da uomo a pianta o ad animale o a statua o ad altra diversa forma inanimata una sorta di storia del cosmo, dal caos originario fino all'apoteosi di Cesare e alla glorificazione di Augusto
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