La redazione segnala

L'Espresso svela il Piano Solo.
Quando l’Italia fu a un passo dal golpe

Illustrazione tratta da "Lettere dalla prigione" di Aldo Moro, Einaudi 2018

Illustrazione tratta da "Lettere dalla prigione" di Aldo Moro, Einaudi 2018

La trilogia della Patria del giornalista e scrittore Enrico Deaglio è una raccolta in presa diretta dei fatti più importanti che hanno segnato la storia del nostro paese dal 1967 al 2020. I volumi:

Patria 1967-1977, Feltrinelli 2018
**
Patria 1978-2010, Il Saggiatore 2010
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Patria 2010-2020, Feltrinelli 2020 
Estratto da

Patria 1967-1977 di Enrico Deaglio

pp. 39-42

Patria 1967-1977
Patria 1967-1977 Di Enrico Deaglio;Valentina Redaelli;

Nel 1967 Gianni Morandi canta "C'era un ragazzo che come me", De André "Via del Campo2 e Luigi Tenco si spara un colpo di pistola al Festival di Sanremo: si sente nell'aria che qualcosa sta per succedere, e infatti comincia un decennio di rivoluzioni, conquiste, speranze, disamori e misteri. Ma che cosa è successo davvero in quel decennio?

10 maggio 1967, Roma

Anche l'Italia, tre anni prima della Grecia (qui l'estratto da Patria), ha rischiato di avere i suoi colonnelli, e i cittadini lo scoprono in edicola. Lo scoop dell'anno s'intitola Complotto al Quirinale, firmato da Lino Jannuzzi, giornalista de "L'Espresso" diretto da Eugenio Scalfari.

L'inchiesta rivela per la prima volta i dettagli del progetto golpista, mai realizzato, del luglio 1964.
Spiega come il comandante generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, con l'appoggio dell'intelligence americana e l'alto patrocinio del presidente della Repubblica Antonio Segni, fosse pronto a far scattare il "Piano Solo".
Obiettivo: fermare l'esperimento di governo del centro-sinistra del democristiano Aldo Moro e del socialista Pietro Nenni.
Era questo il primo di una serie di tentativi di colpo di stato nell'Italia repubblicana.
Comincia così l'articolo di Jannuzzi:

«Il 14 luglio del 1964 fu la giornata più calda dell'anno: 36 all'ombra. Due generali di divisione, undici generali di brigata e mezza dozzina di colonnelli, in piedi, impettiti sull'attenti, stipati nella stanza del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, sudavano. Né era pensabile che ci si potesse sedere, spalancare le finestre, farsi venire su delle granite dal bar all'angolo di viale Romania.
Sarebbe stato più confortevole, ma assai sconveniente e incompatibile con la solennità del momento.

Calmo e severo, nonostante fosse il più grasso e il più sudato di tutti, il comandante generale, Giovanni De Lorenzo, stava concludendo il rapporto agli ufficiali: “Stiamo per vivere ore decisive. La nazione, tramite la più alta autorità, ci chiama e ha bisogno di noi. Dobbiamo tenerci pronti per gli obiettivi che ci verranno indicati”».

La più alta autorità dello stato, Antonio Segni, era impegnata a gestire la crisi del primo governo Dc-Psi-Psdi-Pri guidato da Aldo Moro, caduto venti giorni prima. Un governo che, per un democristiano conservatore come Segni e per un paese del Patto atlantico, avrebbe pericolosamente spinto l'Italia verso sinistra.

Il presidente della Repubblica aveva affidato il reincarico a Moro ma con riserva e a molte condizioni. Praticamente un ultimatum: o ti riposizioni più a destra oppure ci penso io.
Infatti, nel frattempo Segni aveva convocato al Quirinale il comandante De Lorenzo (siciliano di Vizzini, ex partigiano, di fede monarchica, dal 1955 al 1962 capo del Sifar, il servizio segreto militare) e gli aveva chiesto, appunto, di tenersi pronto, “in permanente stato di allarme".

Il "Piano Solo", ordito dallo stesso generale, prevedeva la mobilitazione di ventimila carabinieri, compresi quelli in congedo, con il supporto di ex parà, ex repubblichini di Salò e di formazioni paramilitari finanziate anche da Confindustria.

Tutte le altre forze armate erano escluse.
Dovevano occupare con le armi le sedi del Pci, del Psi, del Psiup, della Cgil e di diverse Camere del lavoro, le Prefetture di Roma, Milano, Torino, Bologna e Genova; chiudere le redazioni de "l'Unità" e di "Paese Sera"; sequestrare i centri di trasmissione radio e tv della Rai; prendere il controllo delle reti ferroviarie e telefoniche e di altri “centri nevralgici" del paese.

Nella capitale le operazioni avrebbero fatto capo al generale De Lorenzo in persona; a Milano a Giovanni Battista Palumbo, comandante della divisione Pastrengo, ex repubblichino e futuro iscritto alla P2; a Napoli al comandante della divisione Ogaden, Romolo Dalla Chiesa, anch'egli futuro titolare di una tessera della loggia massonica.

Dagli anni del Sifar, il generale De Lorenzo aveva rispolverato e aggiornato decine di migliaia di schedature.
Per il "Piano Solo" aveva selezionato una lista di 731 "enucleandi", cioè di dirigenti politici, militanti, sindacalisti e giornalisti che andavano prelevati in massa e concentrati in alcune località predeterminate (Genova, Napoli e Palermo), per poi essere deportati via nave e aereo nel Centro di addestramento guastatori di Capo Marrargiu, in Sardegna.
(Solo molto dopo, nel 1990, si saprà che il Cag di Alghero era la base militare segreta dell'operazione Gladio, l'esercito clandestino presente in diversi paesi Nato pronto a intervenire in caso di eventuale invasione sovietica.)

L'elenco degli enucleandi sarà distrutto nel 1974, ma nel 1999 spunterà una lista parziale di 95 nomi: tra questi, 2 deputati del Psi e 14 del Pci come Luigi Longo, destinato a succedere a Palmiro Togliatti alla guida del partito, Giancarlo Pajetta, Mauro Scoccimarro.
E anche ex partigiani, come Arrigo Boldrini, o come Carla Capponi e Rosario Bentivegna, autori dell'attentato in via Rasella nel 1944 contro i nazisti.
Scrive Jannuzzi:

Per l'occasione, le liste nuove si erano arricchite, rispetto a quelle precedenti, di un lungo elenco di esponenti della Dc, fino ad arrivare al nome del più famoso ministro dell'Interno del dopoguerra, Mario Scelba

Lino Jannuzzi

Il braccio politico del "Piano Solo" sarebbe stato un governo di emergenza, monocolore, costituito da tecnici e militari.
Scrisse su "l'Avanti" il vicepresidente del Consiglio uscente Pietro Nenni:

Improvvisamente i partiti e il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati

Pietro Nenni

Lui, come Aldo Moro, che del resto aveva incontrato personalmente De Lorenzo, aveva capito che l'unica via d'uscita costituzionale, di fronte alla minaccia di un golpe, era un secondo governo di centro-sinistra "edulcorato", per stessa ammissione di Moro.
Nenni rinunciò così alle riforme sociali e strutturali per cui si era battuto, come quella urbanistica contro la speculazione edilizia e i progetti di nazionalizzazioni, osteggiate da gran parte della Dc e dagli industriali.

Scriverà Moro nel suo memoriale del 1978, mentre è prigioniero delle Brigate rosse, sui fatti del 1964:

Furono una pesante interferenza. [...] Il presidente Segni ottenne, come voleva, di frenare il corso del centro-sinistra. L'apprestamento militare, caduto l'obiettivo politico, [...] fu disdetto dallo stesso capo dello Stato

Aldo Moro


Nessun carabiniere quindi fu mobilitato in quella torrida estate ma il governo venne ricattato, il suo orientamento condizionato.
Nacque il Moro II, con l'esclusione della corrente Dc di Fanfani e della sinistra socialista lombardiana.
Giulio Andreotti (ne parliamo qui) fu confermato ministro della Difesa, incarico che ricoprì ininterrottamente dal 1959 al 1966, sopravvivendo a ogni crisi di governo.

Una settimana dopo, il 7 agosto, Antonio Segni fu colpito da trombosi cerebrale durante un incontro al Colle con Moro e Saragat, ministro degli Esteri. Scrive Jannuzzi:

«Il colloquio tra Segni, Moro e Saragat si svolse nello studio, al piano terreno della palazzina, di fronte al parco. Durava da quasi un'ora, quando qualcuno da dentro chiamò aiuto.
Dissero poi che Segni, mentre stava parlando, aveva improvvisamente mostrato qualche difficoltà, "parlava come se avesse una caramella in bocca". [...]
Si disse anche, più tardi, che c'era stata una discussione accesa, un diverbio, che Segni pretendeva la promozione di un certo ambasciato­ re, e che Saragat si rifiutava.
Ci fu però un ufficiale dei corazzieri, ch'era di sentinella sull'uscio, che udì distintamente Saragat gridare: "Basta con queste prepotenze. So tutto del 14 luglio. C'è abbastanza per mandarti dinanzi all'Alta Corte"».

Dopo le dimissioni di Segni, forzate dall'invalidità, Saragat venne eletto presidente della Repubblica.
Il generale De Lorenzo fu promosso a capo di stato maggiore dell'esercito, dal 1968 sarà deputato del Partito monarchico, poi del Movimento sociale italiana fino alla sua morte nel 1973.

Scalfari e Jannuzzi saranno denunciati da De Lorenzo per diffamazione a mezzo stampa e condannati a un anno e quattro mesi di reclusione, nonostante il pm Vittorio Occorsio avesse chiesto per loro l'assoluzione. Assoluzione che arriverà con formula piena nel secondo processo.
Nel '68 saranno entrambi eletti nelle liste del Psi di Nenni.
Come è noto, continueranno a fare i giornalisti.
Jannuzzi ritornerà in Parlamento nel 2001 come senatore di Forza Italia.

Trilogia della patria

Patria 1967-1977

Di Enrico DeaglioValentina Redaelli | Feltrinelli, 2018

Patria 1978-2010

Di Enrico Deaglio | Il Saggiatore, 2010

Patria 2010-2020

Di Enrico Deaglio | Feltrinelli, 2020

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