Il primo settembre di cento anni fa nasceva a Brockton in Massachusetts – da genitori italiani – Rocco Francis Marchegiano, da tutti conosciuto semplicemente come Rocky Marciano; l’unico peso massimo della storia a concludere la carriera senza sconfitte: 49 match vinti, di cui 43 per k.o.
Il giornalista di Radio 24 e de Il sole 24 Ore Dario Ricci ha appena pubblicato un libro (Rocky Marciano. Sulle tracce del mito, Lab dfg) che ricostruisce la vita del boxeur e si interroga su cosa resta di un atleta leggendario – che quando combatteva faceva fermare gli Stati Uniti d’America – a cento anni dalla sua nascita.
Di cosa rappresenti Marciano per la boxe, ma anche per la cultura pop internazionale ne abbiamo discusso con l’autore.
Partiamo con la domanda più semplice e quindi anche la più difficile: per Dario Ricci chi è Rocky Marciano?
Per me è un elemento di svolta per la mia carriera e per la mia vita. Ho iniziato a studiare questo personaggio quasi venti anni fa, nell’estate del 2005, quando decisi di raccontare in radio la storia dei grandi dello sport e scelsi anche lui e il suo mito. Quello stesso reportage, rivisto e aggiornato, alcuni anni dopo vinse lo Sport Media Pearl Award, una sorta di Premio Oscar per il giornalismo sportivo. Fu una soddisfazione immensa.
Sei anche il direttore artistico di un festival che porta il suo nome e che si svolge in provincia di Chieti…
Esatto, a Ripa Teatina. Il paese da cui decise di emigrare il padre di Rocky. Qui ogni anno veniva già assegnato il premio Marciano dedicato agli italiani che attraverso lo sport tengono alti i colori del nostro Paese. Io nel 2016 proposi di fare di più e lanciai l’idea di un festival di cultura sportiva che ormai si tiene ogni estate.
E adesso è arrivato questo libro. Ce ne parli?
L’idea nasce dopo lunghi ragionamenti…
Perché?
Si scrive tanto in Italia e ritengo che se non è proprio necessario si può anche evitare di farlo. Non volevo scrivere una biografia perché ne sono state già scritte diverse e alcune sono davvero ottime. Sentivo il bisogno di raccontare cosa sopravvive di un mito un secolo dopo la sua nascita. Se dovessi darne una definizione, direi che questo libro ripercorre un cammino andando a ricercare tutte le tracce lasciate da Marciano nel corso della sua vita.
Un libro che racconta storie, allora, e non una sola storia…
Esattamente. Ed è possibile notare come accanto alla storia del mito ne nascano anche delle altre. L’esempio più interessante è quello di Harry Hurst, un pugile che chiuse la carriera combattendo con Marciano e che aveva imparato a boxare ad Auschwitz.
È vero che per scrivere questo libro sei andato negli USA?
L’ho visto prima di tutto come un dovere, ma è stata anche una grande emozione. Se uno dichiara di andare sulle tracce del mito poi deve andarci sul serio! A Brockton ho cercato di capire come il mito sia in grado sopravvivere per molti, mentre per altri (soprattutto per i più giovani) sia ancora qualcosa da scoprire.
Nel libro trovano spazio tanti personaggi che non sono strettamente collegati a Marciano…
C’è Dan Peterson, ci sono sociologi, massmediologi e filosofi che aiutano a leggere questa storia da tanti punti di vista.
Mi ha colpito una frase di Valentina Clemente nella prefazione: Marciano è stato un atleta straordinario. Di cui tutti, anche inconsapevolmente, ci siamo nutriti.
I miti diventano tali perché ci svelano qualcosa di primordiale che già conteniamo. Marciano in questo senso rappresenta il mito dell'imbattibilità e dell’invincibilità a cui l’uomo anela. Il mito non è mai fuori di noi... altrimenti non sarebbe tale. Marciano parla di noi e per questo vale la pena conoscerlo e raccontarlo.
Marciano non può essere disgiunto da chi arriva dopo di lui: Muhammad Ali.
Sembra – nell’immaginario collettivo – che ci sia un secolo tra loro due. Ma in realtà le loro epoche sono vicinissime. I due si toccano, si sfiorano e si conoscono.
Ho scoperto dal tuo libro che Marciano nel 1954 ha combattuto dentro lo Yankee Stadium, per dare un’idea della magnificenza dell’evento: un palazzetto dello sport non bastava, serviva uno stadio smisurato…
Con la sua fama e il suo mito fu un forte catalizzatore, ma bisogna dire che avvenne anche con altri. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta la boxe era così, soprattutto negli USA. C’era una dimensione della boxe incredibilmente popolare, l’America aveva vinto due guerre Mondiali e Marciano – da americano assimilato – raccontava la parabola di chi ce la fa.
Perché vale la pena conoscere la sua storia?
Perché è la storia di tutti. Racconta della migrazione italiana di inizio Novecento e in un certo senso è anche la storia di cosa stiamo decidendo di portarci nel futuro. Forse non ce ne rendiamo conto ma ci porteremo anche alcuni miti e uno di questi è incarnato da questo pugile nato a Brockton cento anni fa di cui l’eco dei pugni non smette ancora oggi di farsi sentire.
Di
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