Urania: la storia della fantascienza in Italia fa 70!

Anno straordinario quel 1952 per la fantascienza e data da ricordare il 10 ottobre, quando gli italiani in edicola trovano Le sabbie di Marte di Arthur C. Clarke e se ne innamorano.

Una combinazione irripetibile diede contemporaneamente vita alle prime quattro pubblicazioni italiane di fantascienza: "Scienza fantastica" edita dalla Krator di Roma e diretta da Lionello Torossi che chiuse nel 1953 dopo sette numeri, "Mondi nuovi" di cui uscirono solo 6 numeri, fondata pure a Roma dalle Edizioni Diana e diretta da Nello Conforti,  "Urania" rivista” (che durò per 14 numeri) e "I romanzi di Urania", entrambe edite da Mondadori e dirette da Giorgio Monicelli, nipote dell’editore milanese.
Sopravvisse quindi solo "I romanzi di Urania" - il cui primo numero porta la storica data del 10 ottobre 1952 -, forse perché le altre pubblicazioni accoglievano racconti brevi, mentre questa conteneva un romanzo completo in ogni fascicolo.
Il pubblico fece la sua scelta e "I romanzi di Urania" (ribattezzati semplicemente "Urania" a partire dal giugno 1957) continuarono nel loro cammino, che li ha portati a compiere oggi settant’anni.

Dagli anni Cinquanta l'Italia, il mondo, la scienza e le tecnologie sono molto cambiate e con loro la fantascienza, strettamente connessa anche con l’evolversi della società, mai come per questo genere letterario con una visione globalizzata e internazionale.
Oggi la fantascienza descrive sostanzialmente due tipi di futuro: quello prossimo, governato da elaborati e sofisticatissimi software con reti computerizzate e un mix di mondi virtuali e reali e suggestioni videoludiche, e quello remoto delle galassie ai confini dell'universo, che non è mai passato di moda ma che si è aggiornato alle nuove teorie e alle scoperte della fisica e dell’astronomia.

La storia della collana è legata al succedersi dei suoi curatori: Giorgio Monicelli (che ha coniato il termine "fantascienza"), Carlo Fruttero & Franco Lucentini, Gianni Montanari, Giuseppe Lippi, Franco Forte. Ognuna di queste figure ha dato una fisionomia particolare a "Urania" (così battezzata in onore dalla musa dell’astronomia).

Avreste dovuto vedere la faccia di Giulio Einaudi, di Natalia Ginzburg, di Italo Calvino, quando annunciai che lasciavo la loro casa editrice, il tempio della cultura italiana, per andare a fare Urania, un giornaletto di fantascienza con omiciattoli verdi in copertina

Carlo Fruttero

Ricordava Giuseppe Lippi, curatore della pubblicazione dal 1990 al 2018, anno della sua scomparsa: «Urania è una collezione popolare, votata ai grandi numeri e venduta in un canale particolare come l'edicola».

In questo contesto ogni direttore ha tracciato il suo percorso.

«Giorgio Monicelli – riprendiamo ancora le parole di Lippi - è stato l'uomo dei classici: aveva tutta la fantascienza anglo-americana da cui attingere e per soprammercato quella francese, perciò si orientò verso le pietre miliari del genere. Solo in un secondo tempo scelse la via dell'avventura per l'avventura, romanzi che si volevano carichi di mistero e con un loro "profumo d'infinito" ma anche (riletti oggi) una qualche dose di ingenuità.»

Innegabilmente furono Fruttero & Lucentini e portare ai vertici della popolarità Urania, rispettando i classici, cui dedicarono un'apposita sezione (i Capolavori), ma impegnandosi per anni alla ricerca del nuovo, presentando con una certa dose di temerarietà anche autori letterari come Ballard, Disch o Lovecraft. «La loro visione della fantascienza – commentava ancora Lippi - era quella di un divertimento sofisticato, brillante, con larghe concessioni all'avventura e al mystery, l'altro genere preferito. Al contrario, per il celebre duo la fantascienza italiana o europea rappresentava un tabù: in ventitré anni di gestione della collana hanno pubblicato un solo autore nazionale (Aldo Palazzeschi, con il breve racconto "Il punto nero") e un francese, Jacques Spitz


Gianni Montanari tentò di riprendere i fili della fantascienza italiana ed europea, ma ebbe poco tempo a disposizione: cinque anni in cui propose autori nuovi e altri che erano diventati classici nel frattempo. Nel 1988 fondò il Premio Urania per il miglior romanzo italiano.

Il testimone passa a Giuseppe Lippi: «Credo di aver dimostrato un debole per la fantascienza di avventure, per la hard-sf tecnologica e, al capo opposto, per certe storie moderne del soprannaturale, come quelle di Rod Serling (Ai confini della realtà), Anthony Boucher, Robert Bloch e quelle modernissime di Mark Laidlaw e dell'inglese Amanda Prantera, la mia preferita. Ho anche seguito la tradizione del Premio Urania, che negli anni Novanta ha lanciato autori come Valerio Evangelisti, Luca Masali, Nicoletta Vallorani e altri.»

Con l’arrivo di Franco Forte Urania è risbarcato in libreria (per un breve periodo era già apparso tra gli scaffali) con una collana Oscar Draghi Urania: poche ma selezionatissime uscite fantascientifiche.

Lo scopo? «Offrire al pubblico più vasto, più generico, che frequenta le librerie (non quello super specializzato che acquista Urania in edicola), una panoramica dei grandi maestri della science fiction, con autori classici ma anche contemporanei».

Lippi vedeva un forte cambiamento nel pubblico dei lettori di Urania, ancora più accentuato oggi: «È invecchiato e non ci consente più il facile ricambio di una volta. È calato, anche: se negli anni Sessanta la lettura era ancora una forma di svago popolare, in seguito il suo posto è stato preso dalla TV e da altre forme d'intrattenimento. In compenso sono aumentate le lettrici, che però tendono a prediligere la fantasy alla pura sf.»

Catturare l’attenzione dei più giovani richiede un cambio di visione, uno svecchiamento della linea editoriale, traduzioni ex novo di alcuni classici, ad esempio, più accurate. E una proposta che continua a scandagliare la produzione internazionale, specie anglosassone, perché ancora oggi il lettore di fantascienza «resta legato al concetto che solo gli autori anglosassoni sono in grado di scrivere qualcosa di importante».

Nei decenni anche il "volto" della collana è cambiato più volte, attraverso l'avvicendarsi della veste grafica: solo quella di mezzo - che tutti conoscono, con il fondo bianco, il cerchio al centro e una banda rossa sotto la testata - è durata a lungo, ventinove anni, dal 1967 al 1996. Gli illustratori sono stati grandi e spesso grandissimi: Karel Thole, il tedesco Kurt Caesar che fu il primo e tenne banco per diversi anni, mentre non va dimenticato l'apporto di Carlo Jacono - che disegnò in bianco e nero anche molti interni - e di Ferenc Pinter, Vincente Segrelles, Oscar Chiconi, Marco Patrito, Franco Brambilla.

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