Il 17 novembre viene inaugurata a Bergamo Infinito Presente la mostra dedicata all’artista giapponese Yayoi Kusama. Ma è già Kusama-mania planetaria con l’evento al Guggenheim di Bilbao che ha da poco chiuso i battenti, e il recente grande successo a Hong Kong. Da dove arriva la forza di questa artista giapponese che riesce a conquistare ogni generazione?
Cosa c’è stato, degli scrittori e delle scrittrici, prima? Prima dei libri che hanno scritto, prima di scoprirsi autori, prima ancora di saper scrivere? In un percorso non banale nella letteratura dell’ultimo secolo sfilano davanti a noi paesaggi, città, genti, lingue le più diverse.
-Mi accompagni alla mostra di Yayoi Kusama a Bergamo?
-Chi?
-Yayoi Kusama.
Ora che mi ripete il nome, in effetti in questa artista mi sono imbattuto qualche volta. In una Biennale qualche anno fa, e poi in tutto quello che di lei passano i media, e soprattutto i social, perché pare che questa signora giapponese di 94 anni - che è stata vicina a Warhol e alla Pop art, che ha dominato a lungo la scena newyorkese e internazionale - sia l’artista più presente al mondo su Instagram.
Due dettagli in questa conversazione comunque mi colpiscono. Uno: appena mi collego al sito della mostra, sono in lista di attesa per la prenotazione con migliaia di persone davanti che manco per il concerto dei Coldplay. Due: chi parla con me è mia nipote e ha sette anni, adora Yayoy Kusama e i suoi lavori li ha conosciuti a scuola.
E a sette anni Yayoy ha cominciato a dipingere, nel momento in cui ha iniziato ad avere disturbi mentali ed emotivi. Tre anni più tardi sono arrivate le allucinazioni e la pittura è stato il suo solo modo di buttarle fuori. L’arte come superamento del trauma, un trauma con cui ha sempre dovuto fare i conti, tanto che da quasi cinquant’anni vive autoreclusa in un ospedale psichiatrico di Tokyo.
Mi faccio l’idea che tutta questa necessità, questa urgenza, porti a rappresentazioni senza filtri che riescono ad affascinare anche bambini e adolescenti, che guardano quadri e installazioni senza troppe sovrastrutture. Comunque qualcosa della sua arte figurativa buca con immediatezza, le sue zucche giganti, i suoi famosi pois, le sue Infinity Mirror Room che catturano l’infinito con gli specchi e le luci, sono opere finite un po’ dappertutto, ispirando laboratori didattici per ogni età, e hanno una forza di suggestione e di evocazione che coglie nel segno.
Marta Barone nel suo recente Ritratto dell’Artista da piccolo ha esplorato undici infanzie di scrittrici e scrittori (dalla Woolf a Benjamin). Viene fuori come quel momento unico della vita sia un periodo imprescindibile nella costruzione dell’ispirazione dell’artista, ma anche quanto rappresenti una dimensione con la quale è difficile rimanere in contatto. Lewis Carroll, un altro scrittore, ce l’ha fatta, anzi ha costruito quasi una mitologia su questo, e non può essere un caso se la Kusama ci ha regalato una versione psichedelica di Alice nel paese delle meraviglie, attraverso le sue illustrazioni.
Non solo: ha costruito un happening a Central Park con grossi funghi e cappellai matti. Infatti, Alice con le allucinazioni ha confidenza - il neurologo Oliver Sacks riconduce le visioni di Alice proprio alle emicranie di Carroll – ma anche col diventare grande e tornare piccola ci gioca molto. E poi c’è appunto lo specchio a legarli. Attraverso lo specchio di Carroll e, per Yayoi, oltre alle Mirror Room, nessuno ha dimenticato una sua provocazione alla Biennale di Venezia del 1966, Narcissus Garden che è diventata un cult: 1500 sfere specchianti davanti al Padiglione Italia con sopra la scritta Il tuo narcisismo in vendita. E non hanno più smesso di girare quelle sfere di acciaio, vendute allora due dollari dall’artista, che ora hanno un valore esorbitante.
Arte concettuale. Gioco. Ironia. Magari c’è furbizia dietro, ma questa vecchietta con il caschetto di capelli rossi riesce a mettere in piedi installazioni, illuminazioni, dipinti di ogni colore che pescano forse dal dolore ma diventano una festa, e questo mi sembra una bella cosa. Così la gente ci sta, ragazzi e bambini ci stanno. Che qualche maestra riesca a infilare le sue opere nella storia dell’arte è una buona notizia, che i ragazzi facciano la coda un sabato pomeriggio per seguire le allucinazioni colorate di un’artista che viene dall’altra parte del mondo e che ha ottant’anni più di loro, ha del miracolo.
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