Il cielo e la terra non scelgono. Per loro siamo tutti cani di paglia
Questa la suggestione attorno alla quale ruota l’ultimo libro di Ye Chun. Esordio in lingua inglese dell’autrice sinoamericana, in libreria dallo scorso 6 febbraio per Neri Pozza, racconta la
migrazione e la schiavitù cinese nell’America del XIX secolo.
La frase è una citazione dal Tao Te Ching di Laozi, e si riferisce ai cani di paglia che nell’antica Cina venivano utilizzati come sacrificio al posto dei cani veri che costavano troppo.
Un cane di paglia era un sacrificio apprezzato, ma dopo veniva bruciato o gettato via. Buono o cattivo, cielo e terra non accordano e non negano il proprio favore. Ai loro occhi è tutto uguale. Siamo tutti cani di paglia
Sixiang ha dieci anni, eppure sa bene quanto possa essere capricciosa – e letale – l’acqua. Ora, pigiata in una stiva insieme a una donna che l’ha comprata per un sacchetto di riso, Sixiang non sa cosa aspettarsi dal futuro e dal luogo in cui approderà.
Il concetto viene così chiarificato da Daoshi, figura emblematica del libro che ama attingere ai testi della saggezza taoista per le sue riflessioni e i suoi scambi con gli altri personaggi. Negli anni Sessanta dell’Ottocento, insieme a Guifeng, Daoshi è un operaio cinese impiegato nella costruzione della Central Pacific Railroad per conto dell’omonima compagnia. Centrale uno dei loro primi dialoghi:
“Mi chiedo cosa pensino il cielo e la terra adesso di noi. Quello che stiamo facendo alla
montagna è diverso dal soffiare via granelli di polvere? Approvano? Disapprovano?”
Guifeng diede un’altra martellata, più decisa, ma la punta di metallo entrò di un centimetro appena.
“A me non pare polvere” disse.
“E i nostri corpi non sono di paglia” disse Daoshi
Siamo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta dell’Ottocento. Lasciamo le carestie dell’Asia per tentare di sopravvivere in una già attuale America xenofoba, “Montagna d’Oro” com’è chiamata sullafalsariga di un immaginario ammaliante. Conosciamo quattro personaggi principali: gli operai Guifeng e Daoshi, già citati, e poi Sixiang e Feyan, resilienti e incorruttibili. Sono entrambe vittime di tratta: Sixiang viene affidata ad una trafficante dalla madre e dalla nonna, che dopo l’ultima carestia nel loro villaggio non hanno più modo di tenerla in vita; Feyan vende se stessa ad una mediatrice per scappare dalla famiglia abusante che l’ha data in sposa giovanissima ad un vecchio marito alcolizzato.
Attorno a loro, una rete di personaggi secondari più spesso cattivi che buoni; una mappa di luoghi che non sono casa; una serie di avvenimenti storicamente situati, quasi sempre agghiaccianti. Di tanto in tanto qualche fantasma.
L’intero libro sembra svelare l’insignificanza nella quale ci troviamo ad essere umani, materia transitoria tanto quanto qualunque altro genere di essere. Tra le righe che scorriamo a tratti sembra non esserci spazio per qualcosa che non sia la miseria. Le morti si presentano nude e improvvise; l’odio è pervasivo.
Quelle che leggiamo in Cani di paglia nell’universo sono le storie di migrazione e schiavitù di un intero popolo e non solo. Dentro vi si rintraccia il modello delle dinamiche di potere che si reiterano nella società laddove persiste un’impostazione di tipo statale. Volendo andare più nel profondo, come uno specchio, il riconoscimento di un tale modello ci mostra l’irrisolto delle nostre paure. Insomma, queste storie non sono semplicemente “una triste parentesi” come di solito vengono archiviate dalla più classica narrazione bianca. Cani di paglia presenta all’Occidente l’invito severo a ripensare lo sguardo nei rapporti con l’oltre frontiera. Un passaggio come “ormai aveva capito che una traversata non ti rendeva necessariamente libera, e anzi, poteva condurti con la stessa facilità a un’altra stanza chiusa a chiave” penosamente risuona di senso per un’attualità in cui si muore ancora di traversata, di tratta, o di Cpr. Queste 320 pagine sono (o dovrebbero essere) l’occasione per guardare dove non si è voluto guardare mai; per storcere il naso ai governi correnti e stanarne la piccolezza; per rivedere il nostro personale sguardo verso l’altro.
Tutto questo Ye Chung ce lo mette davanti con l’abito semplice di un romanzo. Descrizione dei personaggi, dei luoghi, delle vicende. Così mentre leggiamo, ci riposizioniamo nell’universo e i destini dei personaggi portano il loro vero e definitivo messaggio:
Come potevano essere cani di paglia? Erano di carne e ossa, e tanto vivi […]. A mezzanotte erano usciti tutti dal locale e avevano fatto scoppiare petardi per spaventare i demoni, e acceso fuochi d’artificio per attirare la fortuna.
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