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Chiedi alla polvere di John Fante

Chiedete alla polvere della strada. Chiedete al vecchio Junipero Serra che sta sulla Plaza, lì c'è la statua con sopra i freghi dei fiammiferi che ho acceso che ho fumato e l’umanità che ho visto passare, io, John Fante e Arturo Bandini, due in uno, amico degli uomini come degli animali. Quelli erano giorni! Pagavo per quelle strade e m'impregnavo di loro e della loro gente, come fossi carta assorbente

Fante scrive Ask the Dust a cavallo tra il 1934 e il 1936. Pubblicato nel 1939 dalla Stackpole Sons, nota casa editrice di New York, nel periodo della Grande depressione, non fece in tempo a spiccare il volo che la casa editrice fallì e Chiedi alla polvere restò sugli scaffali di qualche vecchia biblioteca in attesa di essere scoperto.

Chiedi alla polvere e ti risponderà "Hank", Charles Bukowski, colui che ha scoperto John Fante nel 1985 nelle viscere di una biblioteca di Los Angeles, in un periodo annoiato da scrittori contemporanei troppo attenti alla forma e poco alla sostanza.

Non molto tempo dopo averlo scoperto, mi misi a vivere con una donna. Beveva come una spugna anche più di me, e assieme facevamo delle litigate feroci, durante le quali le gridavo: “non chiamarmi figlio di puttana! Io sono Bandini, Arturo Bandini!” Fante era il mio Dio e io sapevo che gli dei vanno lasciati in pace, non si andava a bussare alla loro porta.

Charles Bukowski

Mentre Hank è il mio e grazie a lui ho scoperto Fante.

Tre fantastiche storie si miscelano in un unico e forte anelito di tensione e vibrazione, nella vittoria e nella tragedia si è totalmente trascinati come la polvere dell’est in un panorama vero, crudo, tagliente, diffidente, si percepisce il razzismo che a quei tempi dilagava tra le minoranze, si ha fame! La repressione è ben salda sulla penna e sui pensieri consci e inconsci di Fante, le stesse arance che Bandini comprava sempre dal cinese diventavano, anche per me che leggevo, il nettare degli dei...e sempre grazie alla penna di Fante sono giunto al punto di schifarle tanto da non volerle mangiare per una settimana. Tre particolari vicende sono incastrate con geniale astuzia e pungente sarcasmo: quella di uno scrittore squattrinato alla ricerca del successo, quella di un cattolico racchiusa sempre tra peccato e redenzione e quella di un giovane in preda a una passione repressa che dà sfogo a perversioni: sommate il tutto e avrete Arturo Bandini.

Le strade di Bunker Hill – il quartiere dove vive Bandini - attraversano ogni parte sensibile alla vita, intesa come vissuta senza remore, vissuta come nel caso di Fante per esser raccontata. Si finisce viaggiando in un eccesso continuo, con il linguaggio sporco e allo stesso tempo reale, anzi, direi popolare, che rende Arturo Bandini vero.

Il ritmo è scandito da una prosa eccezionale degna dei grandi autori russi. Credo che Fante non possa aver avuto mentore migliore che Dostoevskij, tanto da spingere lo scrittore Marco Vichi ad affermare: “come quella russa (quella di Fante) è una letteratura che parte dal basso, dalla terra dalla concretezza della vita”.

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