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Donna Faber di Emanuela Abbatecola

Non si è mai maschi abbastanza

Se siete maschi – maschi abbastanza – la tentazione di pensare, mentre leggete Donna Faber, «ma che esagerazione!» oppure «figurati se succede davvero così» ci sarà. Ci sarà perché quando un maschio si trova davanti a pagine come queste, che riflettono a fondo sui meccanismi più torbidi e violenti che la nostra società attua nei confronti delle donne, senza fare sconti né dimenticando nessuna delle strategie di dominio messe in atto, quando si trova lì davanti e sente della verità, in quelle pagine, un maschio si vergogna, e poi rimane incredulo.

©Associazione Culturale 36° Fotogramma

Il libro di Emanuela Abbatecola affronta una serie di temi sterminata, e nasce da una ricerca sul campo: Donna Faber non è solo la padrona di classica memoria del proprio destino, ma è anche la donna che fa, che mette mano al mondo e lo cambia secondo i propri desideri e la propria necessità. Perché ad alcuni sembrerà ancora assurdo da pensare, ma questa nostra società è stata pensata, progettata e costruita su misura per gli uomini, per un certo tipo, anzi, di uomo, e ha funzionato talmente bene da escludere tutto il resto. Donne comprese.

Scrivo «comprese» ma potrei scrivere «soprattutto», anche se Abbatecola tiene a sottolineare che questa società, nel tempo, si è a tal punto cristallizzata da andare a denigrare ed escludere qualsiasi tipo di deviazione, anche quella di un certo tipo di maschio non «forte, muscoloso, peloso, conquistatore, virile, coraggioso, intraprendente, cacciatore, resistente al dolore» eccetera, perché ce ne sono altri, di aggettivi, ma piuttosto ripetitivi a lungo andare. Le donne – che deviano naturalmente, almeno così si continua a pensare – da queste caratteristiche sono, per l’appunto, naturalmente escluse da una società costruita così. E grazie a saggi come Donna Faber l’attenzione, ormai alta da tempo, sul fenomeno si porta a ogni livello: il linguaggio è lo spazio privilegiato, ma ci sono il lavoro, le aspettative, la libertà di contraddirsi, di reagire e di ribellarsi.

Questa tendenza a raccontare il mondo da un punto di vista maschile non significa non occuparsi delle donne (o per lo meno non più), quanto piuttosto settorializzare le analisi dei sotto-universi femminili, trattare tutto ciò che riguarda le donne come una dimensione a sé stante

©Associazione Culturale 36° Fotogramma

L’esclusione passa per il discorso, e anche qui la riflessione sul linguaggio, sulle sue forme e sulla sua importanza nel definire una società è imprescindibile. Le stesse scelte dell’autrice vanno nella direzione di disturbare, talvolta, il nostro orecchio attraverso scelte politiche oltre che grammaticali, attraverso forzature che pretendono di infastidirci quanto basta perché sulla faccenda si rifletta. L’idea che il linguaggio abbia una larga parte nel definire un mondo non è nuova, del resto, lo ribadisce anche Abbatecola, finché non si nominano le cose non esistono, o esistono poco. Ed è sorprendente scoprire in quanti modi possa essere violento e feroce quando è riferito a una donna.

L’esempio più canonico è il «signorina» in luogo di: qualsiasi professione, abitudine che anche negli uomini più galanti sta scomparendo. Per poi passare allo slut shaming – se una donna fa qualcosa di sbagliato è una troia, ma anche se un uomo fa qualcosa di sbagliato, alla fine a rimetterci è una delle donne della sua vita, la mamma se è un figlio di puttana, la moglie se è un cornuto. E infine arrivare alla parcellizzazione del corpo, come «bel culo», in un crescendo vertiginoso di denigrazione e allontanamento.

L’unico vero lavoro è quello maschile che trasforma la natura in qualcosa di tangibile e duraturo e conferisce autorevolezza

E anche il lavoro, come il linguaggio, va nella direzione di alimentare e reiterare un potere, quello maschile, che si riproduce qui attraverso la nettissima dicotomia tra lavori da donna e da uomo: quelli che pertengono alla cura sono femminili per definizione, svilenti per un maschio che sarebbe sprecato a guadagnarsi da vivere in relazione agli altri. Questa divisione scaccia dagli ambienti maschili le donne troppo intraprendenti, quelle che vorrebbero ribellarsi – ribellarsi facendo le camioniste o le minatrici, cose che per un maschio sono semplici, a portata di mano.

Ma Donna Faber va a parare proprio lì, dove le cose sembrano e sono semplici per un maschio ma non per tutte o tutti. Dove è semplice dare della puttana ma è difficile riceverlo, perché non è come essere chiamati stronzi o bastardi, dove è semplice incazzarsi ma solo se non sei una donna perché altrimenti «hai per caso il ciclo?», dove è semplicissimo essere brave ma è ancora più semplice essere un «bel culo». Donna Faber va a cercare in quei luoghi, racconta delle donne che si sono ribellate a questa semplificazione e che hanno reso le cose, finalmente, un po’ più complesse di come i maschi le hanno sempre viste.

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