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Essere una macchina di Mark O'Connell

Già il titolo è perturbante (ma quello è un altro libro, lo scrisse Freud e chissà che cosa direbbe di questo, viceversa); perturbante o seducente, a seconda: Essere una macchina. Si percepisce l'eco della questione, irrisolta, del libero arbitrio; se i pensatori antichi dovevano prendere con le molle il concetto di destino, renderlo armonico o cacciarlo a forza nei loro sistemi filosofici, oggi alcuni rami della genetica, delle neuroscienze e della fisica (nella sua chiave di lettura deterministica) sollevano non pochi dubbi sulle possibilità materiali che abbiamo di volere davvero qualcosa, invece che essere semplicemente programmati per crederlo.

Essere una macchina. Un viaggio attraverso cyborg, utopisti, hacker e futurologi per risolvere il modesto problema della morte

La morte non è più “un problema filosofico ma un problema tecnico ed ogni problema tecnico prevede una soluzione tecnica". In questo saggio, O'Connell ci conduce in un viaggio lungo le teorie del transumanesimo, con leggerezza, ma anche una punta di preoccupazione per il nostro nuovo rapporto con la fine.

È lecito sospettare che i nostri tentativi di costruire, fin dall'antichità, macchine che agissero come esseri umani siano stati e siano, ancora oggi, manifestazione del terrore, inconscio e inammissibile, di esserlo: una macchina. Non ricordo chi mi disse che un macchinario, meno pezzi ha, meno probabilità ha di rompersi. Nonostante l'uomo sia molto complesso, già solo nel suo aspetto materiale, c'è chi pensa non solo di poterlo riparare, ma di poterlo tenere in funzione per sempre.

«Il tempo è un abisso, profondo come lunghe infinite notti, i secoli vengono e vanno… Non avere la capacità di invecchiare è terribile. La morte non è il peggio: ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secoli, sperimentando ogni giorno le stesse futili cose» dice il Nosferatu (letteralmente colui che non respira) di Herzog. Dunque, l'immortalità: concetto così vasto e archetipico che prima o poi ciascuno ci inciampa, almeno una volta nella vita. Pensa che fregatura per tutti quelli che sono dovuti morire, mi disse una volta un amico, prima che qualcuno inventasse l’immortalità.

Questo qualcuno, che fino a poco tempo fa era relegato nei romanzi e nei film di fantascienza, oggi ha un nome, una sede, e centottantaquattro pazienti, o utenti, o corpi in attesa di essere rianimati, o cadaveri: come vogliamo chiamarli? I paradigmi qui saltano.

La Alcor Life Extension Foundation ha sede a Scottsdale, in Arizona, ed è stata fondata da Fred e Linda Chamberlain. Il primo è - morto? ed è conservato in stato di animazione sospesa in una capsula criogenica; sua moglie invece è ancora membro attivo dello staff che studia come conservare corpi in attesa di poterli risvegliare e guarire, con la tecnologia futura, e come prolungare in modo indefinito l'esistenza umana. Davvero si può trovare un escamotage all’entropia? È possibile conservare in modo indefinito una certa quantità di informazione, che sia materia o connessioni neurali?

In un'intervista di qualche tempo fa, il filosofo Costanzo Preve spiegava una delle differenze sostanziali tra l'uomo antico e quello contemporaneo. Il primo andava incontro alla morte sazio di giorni, avendo visto quello tutto quello che, nel suo mondo ristretto e confinato quasi all'orizzonte dello sguardo, riteneva possibile. Il secondo, invece, affamato (in senso transitivo) dai media a sempre nuovi stimoli e informazioni, muore con la frustrazione di non sapere che cosa accadrà il giorno successivo alla propria dipartita, complici la facilità nell’ottenere informazioni in merito a fatti lontani da sé, l'accelerazione esponenziale del progresso tecnologico, e insomma lo smacco di entrare a far parte del numero dei più che non hanno potuto approfittare dei benefici di una vita più lunga grazie alle scoperte della medicina e della bioingegneria.

Il saggio di Mark O'Connell uscito per Adelphi, Essere una macchina, affronta questo tema, il sogno proibito della vita eterna, ma non solo: le questioni legate al corpo post-umano, al post-organico, all'intelligenza artificiale o altra. Tutto ciò che, in una parola, ci renderebbe secondo alcuni meno umani e più macchine. Il 6 gennaio 1896 i fratelli Lumière proiettano il cortometraggio L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat. Il pubblico fugge di sala, spaventato: teme che il treno possa investirlo per davvero. Questo saggio è come quel treno, arriva dritto verso l’osservatore, sappiamo che da lui ci separa lo spessore di un foglio di carta e che non verremo travolti, eppure siamo tentati di fuggire a nostra volta. Chi avrebbe mai detto che prima o poi avrebbero inventato i treni, fino a non molto tempo prima.

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Mark O'Connell è originario di Dublino e collabora con riviste e quotidiani quali "Slate", "The Millions", "The Guardian" e "The New Yorker". Nel 2017 ha pubblicato il suo libro d'esordio, To Be a Machine, tradotto in Italia da Adelphi (Essere una macchina, 2018).

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