Dopo aver ricevuto le lodi di un maestro come Sonny Rollins (1930), condivise pubblicamente nel breve documentario sulla realizzazione di questo suo nuovo album, il sassofonista tenore statunitense James Brandon Lewis ha detto: «Amo Sonny Rollins ma non posso essere Sonny Rollins, posso solo essere me stesso e lui ha voluto che io fossi me stesso». Nelle immagini precedenti l'artista jazz classe 1983 insisteva su quanto gli sia caro il concetto di autenticità, sul fatto che quando imbraccia il suo strumento cerca di essere quello che è, nel modo più onesto possibile: concetti chiave per interpretare il titolo del disco, Eye Of I, e immergersi nei suoi undici brani.
Un artista autentico, che mescola il jazz dei grandi maestri alla propria energia e al proprio modo di intendere un genere senza regole.
Nato a Buffalo ma residente a New York ormai da una decina d’anni, James Brandon Lewis si presenta in trio con Chris Hoffman (violoncello) e Max Jaffe (batteria e percussioni) e firma tutti i brani esclusi le due riprese di Someday We’ll all be Free di Donny Hathaway e Womb Water di Cecil Taylor. Poi la traccia finale, Fear Not, è firmata insieme ai Messthetics, trio strumentale dall’attitudine jazz-punk già autore di due album per la Dischord e fondato da Joe Lally e Brendan Canty, rispettivamente bassista e batterista dei Fugazi, con il chitarrista Anthony Pirog: un pezzo di quasi otto minuti, intenso e con forti accenti rock per una collaborazione che proseguirà, visto che i due trii partiranno per un tour congiunto.
Figlio di un pastore, Lewis si è formato prima di tutto suonando in chiesa e, nelle note di copertina del suo disco d’esordio del 2014, Divine Travels, scriveva: «La bellezza del viaggio sta nel guardare i chilometri già percorsi, vissuti, e spingersi in avanti. Così ci si rende conto che gli eventi e le circostanze sembrano incontrarsi in modo quasi magico, ma io vorrei, con umiltà, suggerire che il percorso è divino e al di sopra della nostra comprensione finita». Se Rollins ha dichiarato che nella musica del Nostro si sente una profonda spiritualità, capace di ispirare, si può dire che questa dote arriva da lontano, quindi, e che in Eye Of I si riconferma presente.
L’autenticità professata, insomma, comprende una predisposizione alla riflessione che si sente eccome, per quanto nella musica di Lewis sia presente, al tempo stesso, un’energia rabbiosa che segue la tradizione dei maestri del free jazz e, in questo caso, è ispirata, come dichiarato, all’attualità statunitense. Da qui si crea un conflitto interno al disco che fa anche da motore ai brani e lo testimonia bene l’interludio Middle Ground, tanto breve (appena 47 secondi) quanto agitato, che fa da raccordo tra la serena The Blues Still Blossoms e la nervosa title-track.
Eye Of I è il primo disco di James Brandon Lewis per Anti-, etichetta indipendente nata a Los Angeles nel 1999, che ha un catalogo trasversale ma è sempre più attenta alle direzioni che sta prendendo il jazz contemporaneo, ancora meglio se contaminato (lo conferma, per esempio, anche la presenza nel roster di artisti come Moor Mother e Alfa Mist).
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