Ma forse uno racconta la storia di qualcuno perché è un modo come un altro per raccontare la sua
Il male, si sa, è banale – peraltro, anche il contesto in cui quest’affermazione è stata fatta può essere assimilato a quello del libro. È anche affascinante, e questo è un dato di fatto altrettanto assodato. Che cosa succede, però, quando il male lo si incontra per davvero, quando il fascino che esercita è talmente potente da diventare parte di qualcosa che non ci appartiene? Una domanda mal posta e che cerca di convincerci che ci siano esseri umani buoni che il male lo incontrano e basta, e a volte lo trovano banale, a volte se ne lasciano ammaliare.
E invece il libro di Andrea Tarabbia, Il continente bianco, ci dice un’altra cosa. Ci dice che, per quanto ci convinciamo che il male sia al di fuori di noi, un bel po’ sta anche dentro. Ed è ciò che ci spinge ad andare verso altro male, solo di gradazione diversa, solo più intenso.
Andrea Tarabbia, autore di "Madrigale senza suono", scrive un romanzo sul potere, a volte funesto, che abbiamo sugli altri e ci regala un ritratto di un gruppo di persone - e forse di un Paese - che danzano sull'abisso. Un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere.
Cambiano le gradazioni, non i bisogni
Il protagonista del libro di Andrea Tarabbia è Andrea Tarabbia. È un’autobiografia? No, se non altro perché non racconta la sua vita intera, ma solo un frammento. Poi, non siamo nemmeno sicuri che l’Andrea Tarabbia dentro il libro sia lo stesso che ne sta all’esterno, magari è solo un omonimo, e quindi il romanzo sarebbe solo un romanzo. In questo gioco di specchi e ripetizioni, c’è qualcosa di deformante che, a un certo punto, appare, e di noi – lettori, scrittori, Andrea Tarabbia che siamo – esce un’immagine distorta.
È l’incontro, appunto deformante, con l’altro. L’altro è, in questo caso, il male. E come in ogni storia sull’alterità che si rispetti, alla fine si scopre – ma non è un giallo, questo: lo si capisce piuttosto in fretta – che non c’è nessuna distanza tra me e chi mi sta davanti. Tra Andrea Tarabbia e Marcello Croce, nello specifico. E non si tratta di un riversarsi del male nei confini del bene, o del lasciarlo entrare per la porta principale. Il punto è che, leggendo Il continente bianco, viene fuori che di confini, tra bene e male, non ce ne sono.
«Tutto crollerà» disse infine, «tutto crollerà dalle fondamenta»
Il gruppo che incontra Andrea è un gruppo neofascista. C’è qualcosa di torbido nel primo contatto tra lui e la persona che più di tutti eserciterà il suo fascino sul protagonista, Marcello. E Andrea è iniziato, grazie a questo contatto, a una violenza liberatoria, che annienta e soverchia i propri simili, e che diventa l’unico modo per sopravvivere. La violenza che è anche verbale – perché le idee che il gruppo di Marcello propugnano sono decise e convincenti. Troppo convincenti, circoscrivono un pezzo di mondo e gli addossano una narrazione che funziona.
Questo è un romanzo, del resto, sulla narrazione. Sulla capacità di costruire storie convincenti, ed è l’obiettivo di Andrea autore, di quello protagonista, di Marcello e del fascismo in generale. Andrea vuole raccontare la storia del Continente bianco – il gruppo si chiama così – e Marcello vuole che la sua storia sia raccontata. Perché, una volta che le cose hanno un nome, una forma, un senso, sono ineluttabili. Marcello dice spesso che ci si prepara a una guerra e che bisogna farsi trovare pronti. L’unico modo vero per esserlo è quello di avere qualcuno che creda alle storie che raccontiamo.
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