Se quello che cerchi è un libro travolgente, in cui perderti e lasciarti affascinare dalle ambientazioni esotiche che spaziano dalla Croazia, al Sud America, dall’Ungheria, alla Germania, allora Il Giardino di Reinhardt di Mark Haber è il romanzo che non puoi assolutamente perdere.
Sono i primi del Novecento e Jacov Reinhardt, figlio di imprenditori di tabacco, è ossessionato dalla malinconia. La venera, la ama, la elogia e, soprattutto, ne parla nel trattato che sta scrivendo.
Jacov Reinhardt ha un'autentica ossessione per la malinconia. All'inizio del XX secolo, mentre sta scrivendo un trattato su di essa, decide di lasciare il suo piccolo villaggio nella Dalmazia per andare alla ricerca di colui che è fonte di ispirazione per il suo lavoro: Emiliano Gomez Carrasquilla, il filosofo perduto della malinconia, che si dice si sia ritirato in una delle giungle del Sud America.
L’ossessione è talmente forte che decide di partire per l’Uruguay alla ricerca di Emiliano Gomez Carrasquilla, suo eroe e noto filosofo della malinconia.
La malinconia è la vera protagonista, Haber la mostra sotto un altro aspetto: non più, come la causa primaria di tristezza, affanno e dolore, ma come ragione di vita e di amore, come il sentimento che avvicina al sublime e alla pace interiore.
I filosofi hanno etichettato la malinconia come una malattia, hanno dichiarato che è tristezza senza ragione, mentre io ero certo che fosse tristezza della ragione. Quando si è malinconici si vede la realtà con assoluta lucidità. I malinconici sono i beati di questo mondo, i veggenti e i visionari, e mentre Jacov parlava della sua malinconia diveniva meno malinconico, perché, per studiare questa emozione, mi rendevo conto, bisogna lasciarsela alle spalle, perché la malinconia prosciuga le forze, fiacca lo spirito, sgretola le attitudini, e una delle ironie più crudeli della malinconia è proprio la forza necessaria per studiarla
Il Giardino di Reinhardt è un libro in cui i ricordi, che sono l’anima della malinconia stessa, si susseguono, svelando non solo dettagli curiosi, ma anche il passato e l’eccentricità dei personaggi.
Il romanzo è narrato tutto dalla prospettiva del fedele compagno di Jacov che, undici anni prima, è partito dalla Croazia, per apprendere i segreti dello studioso e la meraviglia di questo sentimento. Questo fedele compagno non ha nome, ma ciò non crea una separazione o un distacco, perché si è completamente calati nella sua mente e in tutti i suoi pensieri, a volte anche un po’ sconclusionati.
La narrazione è un lungo flusso di coscienza, privo di capitoli e paragrafi che aiuta a immergersi nel racconto, a sentire gli occhi degli indigeni addosso, la vegetazione muoversi e la frenesia e la frustrazione di alcune situazioni paradossali.
Un romanzo breve, ma intenso e dai richiami coloniali. La scrittura di Haber è fluida, ironica e a dir poco vivida.
Il Giardino di Reinhardt è una vera e propria discesa negli abissi che, in alcune descrizioni, senza nasconderlo, richiama Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Quindi per chi sente la mancanza di Marlow e del capitano Kurtz è il libro giusto da portare sotto l’ombrellone.
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