A volte leggere certi autori porta a interrogarsi sul significato stesso della letteratura. La risposta che ognuno di noi trova, qualsiasi essa sia, restituisce senso all’esistenza stessa. In un periodo complesso, caotico e incerto come quello che stiamo attraversando, non è difficile notare una serpeggiante forma di nichilismo e di accidia, una disillusione che toglie silenziosamente valore alle nostre esistenze. Che si tratti di effetti da post pandemia, senso d’impotenza davanti alle crisi mondiali o dispersività da social media, ad assottigliarsi sembra proprio l’importanza delle nostre vite. Leggere Il ragazzo della Ernaux mi ha colpito per un senso di unicità. Un’unicità che non riguarda la relazione dell’autrice con un giovane di trent’anni di meno, bensì relativa all’indagine continua che la Ernaux fa della propria esistenza, della propria identità, e che la rende importante a sé stessa.
Una donna racconta la relazione con un ragazzo di trent'anni più giovane. Un'avventura che a poco a poco si trasforma in una storia d'amore e diviene per la narratrice un viaggio nel tempo in cui il presente si mescola alla memoria dei rapporti passati e della propria esistenza sociale e sessuale.
Fare l’amore può essere “qualcos’altro rispetto al soddisfacimento più o meno dilatato del desiderio. Essere una sorta di continua creazione”. La relazione con uno studente universitario è la via per intraprendere l’analisi del proprio passato, scoprire di più su sé stessa e affrontare ricordi che sente di dover raccontare affinché possano compiersi. La differenza di età è l’opportunità per rivivere esperienze e sensazioni una seconda volta, ma con consapevolezza diversa.
Portava con sé la memoria del mio primo mondo. Con lui percorrevo tutte le età della vita, la mia vita. L’amore sul materasso per terra nella camera gelida, la cenetta consumata su un angolo del tavolo e la baraonda giovanile… avevo l’impressione di tornare a recitare scene e gesti che avevano già avuto luogo, il copione della mia giovinezza. O altrimenti quella di scrivere/vivere un romanzo di cui costruivo con cura ogni capitolo.
Anche il giudizio esterno, lo sguardo spesso carico di disapprovazione degli estranei che nel caso di un uomo con una ragazza più giovane non sarebbe parso altrettanto indignato, è per la Ernaux occasione di riscoperta di sé e autoaffermazione, oltre che una sfida per cambiare le convenzioni:
Sguardo che, ben lontano dal provocarmi vergogna, rafforzava la mia determinazione a non nascondere quella relazione… sapevo, che se ero con un ragazzo di venticinque anni era per non trovarmi davanti, continuamente, il volto segnato di un uomo della mia età, quello del mio stesso invecchiamento. Di fronte a quello di A., anche il mio era un volto giovane. Gli uomini lo sapevano da sempre, non vedevo in nome di che cosa io me lo sarei dovuto negare
La memoria della relazione con il giovane A. (e la concatenazione di eventi passati che le riportano alla mente) è un modo (e un metodo nella sua letteratura) che l’autrice ha di accedere a qualcosa di più ampio del ricordo personale, trovando materiale per raccontare la società.
Mentre scivoliamo sui profili di esistenze che appaiono sempre più riuscite della nostra, quando lasciamo che opinioni, commenti, giudizi di sconosciuti interferiscano sul nostro umore, laddove disperdiamo la nostra attenzione nel magma di mediocri contenuti digitali, distratti, intrattenuti, delusi e assuefatti, stiamo assecondando il rischio di un’esistenza di superficie. Dimentichiamo di vivere.
Leggere Annie Ernaux ha l’effetto di ridestarsi da un torpore. È restituire importanza ai dettagli, agli interstizi del tempo. È tornare a credere nelle proprie idee, volontà e passioni. È pensare che ognuno di noi ha ed è una storia da portare a compimento.
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