Seguendo il ritmo delle stagioni, Vanoli riesce con grande maestria a parlarci di storia con un linguaggio che a tratti arriva perfino a sfiorare la poesia. Ci racconta le nostre radici, ci riporta allo stupore dell’infanzia di fronte al mutare delle stagioni insieme a quello dei nostri avi la cui vita era strettamente legata ai ritmi della terra, perché "la lezione del freddo è antica, bisogna solo ritrovarla".
Il gelo e la neve: una bianca, gentile, morte che porta in sé nascosta la promessa della vita. Raccontare l’inverno obbliga a fare i conti con le nostre paure e i nostri limiti, e con una parte profonda della storia umana: le grandi glaciazioni, la lotta per la sopravvivenza, ma anche un’attesa di rinascita che si riflette nei miti e nelle feste più antiche.
L’inverno: una pausa che già sottende l’attesa. "Una natura che rallenta il suo respiro stretta in una mano di gelo". E questa “sospensione” nel tempo del mondo circostante, ci viene narrata col grande rigore dello storico ed insieme col tono ammaliante del racconto, passando a sfiorare storia, leggende e battaglie, sussurrandoci le tracce che l’inverno lascia di sé nei grandi classici e nelle opere d’arte.
L’autore ci narra l’Inverno delle origini, la storia del rapporto dell’uomo con il gelo, il silenzio e il buio che lo mettono di fronte alla paura della morte e alla solitudine risvegliando i propri fantasmi, ma anche con quella della speranza e della rinascita. Il passato ce lo portiamo addosso, e sembra rivivere nello sguardo che ancora oggi ci fa abbracciare la magia e l’incanto dell’Inverno. Rimettiamoci sui suoi passi.
Il primo freddo incontrato dall’uomo, quello dell’ultima glaciazione, spinse i primi cacciatori per necessità a mettersi in cammino, a mettersi in marcia verso l’ignoto e dare inizio alla storia.
Furono i Greci e i Romani con le loro conquiste a conoscere i differenti morsi del freddo e del gelo spingendosi con le loro conquiste oltre i confini delle terre conosciute e a cercare rimedi per proteggersi, ma anche a introdurre sacrifici e feste in onore di Poseidone e Dioniso per difendere i raccolti futuri, custoditi nel grembo di una natura in riposo; mentre il cristianesimo porrà al centro dell’inverno la festa del Natale, che unisce festa del solstizio e nascita divina. Secoli dopo il freddo degli inverni del Medioevo penetrava fra le mura delle case e dei monasteri, dove nessuna stanza dedita al lavoro e alla preghiera era riscaldata (tranne la cucina).
Ci sembra di sentirlo questo freddo, tra le righe del saggio, insinuarsi nelle fessure e raffreddare le spesse mura. Lo sentiamo nelle pagine in cui si narra dei soldati stremati sorpresi dalla morsa del gelo, o in quelle in cui si narra di spedizioni geografiche nei più sperduti angoli del mondo.
Vanoli ci racconta, in un alternarsi di eventi tragici e lieti, la nascita delle festività al centro dell’Inverno, le loro origini più arcaiche e pagane che rimangono nel calendario cristiano, così come l’invenzione del presepe, che porta a un’intima partecipazione di “una nuova collettività” all’evento della nascita divina, e il suo significato originario e rivoluzionario nella trasformazione della Chiesa ad opera di san Francesco.
Tradizioni ancestrali legate al ciclo agrario e quasi dimenticate rinascono nelle altre feste dei primi mesi dell’anno: morte e rinascita si uniscono nella battaglia tra Quaresima e Carnevale, una delle feste più misteriose che comporta un rovesciamento delle regole sociali, rendendo partecipi gli uomini al risveglio della natura. Inseguiamo poi gli inverni dell’età moderna: il clima cambia, e con lui la natura stessa. Ma ancora si fa ricorso ai miti passati da cui si attingono fiabe e immagini da portare nelle feste, come l’abete di Odino, o Babbo Natale che arriva dal Nord, e si incomincia a dare un volto a questi lunghi gelidi mesi, raffigurando con differenti tecniche questa stagione, dove il bianco predomina.
Con le dodici miniature dei mesi del libro d’ore di Giovanni di Valois opera dei due fratelli miniaturisti Jean e Paul de Limbourg, del 1415 “l’inverno faceva il suo ingresso trionfale nella storia della pittura”. Da Bruegel a Monet dove “l’inverno incontra l’impressionismo e conosce un nuovo modo di essere raffigurato”, da Friedrich a Chagall, che coglie “quella poesia antica che sta dietro le cose”: la fredda stagione entra nel cuore dell’arte. Con la stessa intensità, essa compare nelle note dei compositori. Un “calendario in musica” scandisce l’opera di Vivaldi, dove il gelo, la pioggia, il vento prendono in prestito la voce dei violini e dei fagotti.
L’ inverno e la creazione artistica in tutte le sue forme, non può tralasciare le immagini indimenticabili nei classici della letteratura, ed è a Tolstoj in primo luogo che Vanoli ci riporta con le bellissime descrizioni del paesaggio che fa da sfondo all’amore tormentato di Anna Karenina, ma anche al celato erotismo delle poesie di Puskin, e ai sentimenti dei protagonisti di Pasternak.
Questo primo saggio, dedicato alle stagioni, a cui hanno fatto seguito altre tre imperdibili narrazioni, ci conduce, dopo il piacevole excursus a noi. Ci fa riflettere sul nostro bisogno di legarci al ritmo della natura, anche nelle nostre frenetiche città, dove la natura sembra assente.
Oggi noi condividiamo, con gli inverni della storia, e con la storia degli inverni della nostra vita, anche se solo per rari momenti, quel piacere infantile di saper cogliere la lentezza, di saperci ancorare alla nostra parte più intima, nel calore delle nostre case, gustando la magia di un mondo addormentato nell’incanto, perché “l’inverno è parte di noi; e siamo noi ad avergli dato forma”.
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