Per leggere Io è un altro, del Premio Nobel Jon Fosse (qui potete leggere il nostro articolo in merito alla recente assegnazione del riconoscimento), bisogna immaginarsi un teatro mentale, solo che non ci sono quinte, il tetto è sparito e le porte sono spalancate: tutto può succedere perché tutto è già successo e tutto è uno; al punto che diventa impossibile distinguere cosa è Io e cosa è Altro.
Tutte le onde sono diverse e tutte le nuvole sono diverse, pensa Asle e lo sono anche in un buon dipinto, dove le onde non sono soltanto onde e le nuvole non sono soltanto nuvole
Due uomini condividono lo stesso nome, Asle. Uno è un uomo di successo, l’altro alza il gomito troppo spesso. Viene da pensare che siano la stessa persona, eppure a volte si incontrano e si parlano. Il tempo e lo spazio li seguono come due rette che a volte sembrano intersecarsi.
Io è un altro racconta l’intersecarsi di due linee, che sono due linee grafiche – quelle che compongono il quadro a cui il protagonista sta lavorando – e due linee spirituali, ovvero le esistenze omonime ma differenti di due personaggi. Da una parte c’è Asle, pittore e protagonista, dall’altra c’è ancora Asle, sempre pittore e sempre protagonista. Queste due linee improbabili seguono nel romanzo traiettorie opposte, est e ovest, successo e insuccesso, infelicità e felicità, fino a incontrarsi in un punto dopo il quale le tinte colano e si mischiano inesorabilmente, contaminandosi a vicenda nel tentativo di continuare il proprio tracciato.
Ed è sicuramente difficile stabilire cosa sia bene e male, cosa sia giusto e sbagliato, vero e falso, ma la maggior parte delle volte risulta abbastanza chiaro
Lo stile di Jon Fosse segue quindi un tracciato “sporco”, un tratto che è volutamente denso e che intreccia realtà, finzione e identità. Il fraseggio si libera dei punti, la vita – ricca ed esuberante – fluisce da un periodo all’altro. L’immaginazione e il ricordo si confondono trovando nicchie di senso all’interno dei discorsi del presente per poi prendere il sopravvento e sedurre l’attenzione del lettore in momenti diversi, in tempi altri che attraversano i pensieri e le situazioni. I pensieri di un personaggio non gli appartengono, ma vagano e trovano espressione nelle parole di un interlocutore casuale o spaziano nei numerosi flussi di pensiero collettivo.
Nel caso di Jon Fosse si parla proprio di pensiero collettivo: una grande mente unisce l’opera in tutto il suo tragitto, raduna i punti di vista e gira tra le stufe affamate di legna e il cane Barge che aspetta il ritorno del suo padrone. Tutto pensa, ma lo fa secondo un’unica vitale e drammatica logica, in cui anche noi alla fine ci troviamo avviluppati.
Ho sempre disegnato soltanto a matita e, per qualche strano motivo, non uso mai la gomma, preferisco che l’errore rimanga, se c’è, perché spesso è l’errore a dare alla fine la dimensione giusta
In un flusso che non termina e nell’indeterminazione della persona si fa spazio la più grande delle paure: se io è un altro, io chi sono? Ogni parte comincia dall’osservazione di sé, “Io osservo me stesso”, proprio nel tentativo di contrastare questo terrore di indeterminatezza. È una paura fondata. Infatti, tutti i personaggi subiscono una spersonalizzazione archetipica, Gura diventa solo Sorella e la madre del protagonista solo Madre. Per alcuni è una fortuna ovviamente, un medico qualsiasi diventa il Medico, per altri invece è una condanna, come per Asle che nel lungo ripetersi delle sequenze si confonde con l’Omonimo e cerca di osservarsi paragrafo dopo paragrafo nel disperato tentativo di riconoscersi ma nella terribile sicurezza di essersi ormai perso di vista. Fino a diventare altro.
Accendo l’auto e penso che adesso ho bisogno di recitare dentro di me un’Ave Maria, di solito mi aiuta quando vengo assalito dal terrore
Ogni capitolo di Io è un altro comincia come una preghiera “io vedo me stesso” e si conclude con una preghiera “Pater noster” o “Salve Regina mater”. Le sequenze si susseguono come i grani di un rosario che passano le soglie delle dita devote di Jon Fosse, il quale sopporta l’inquietudine e la paura di scoprirsi altro, di perdersi tra le sue stesse intuizioni. E che si fa forza pregando con noi, una frase dopo l’altra, un paragrafo dopo l’altro e una parte dopo l’altra.
Non vediamo l’ora che esca il prossimo libro, che leggeremo in religiosa osservazione per arrivare alla fine e superare questa ancestrale paura. O almeno a sentirci meno soli in essa e magari scoprire che Altro può essere un prezioso compagno.
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