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L'abito bianco di Nathalie Léger

Nell’inverno del 2008 avevo 25 anni. Collezionavo romanzi inquieti, melodrammi indigesti, vasellami sbeccati. Tutto ciò a cui mancava un pezzo. Esattamente come me. Mi ero da poco imbarcata nell’avventura di libraia, ignara che sarebbe stata una navigazione appassionata e di lungo corso. Ogni giorno mi lasciavo crivellare di stimoli e mi sentivo così, elettrica e felice.

Consapevole che dietro la scorza di ciò che assorbivo c’erano steppe e radure di umanità ancora ignote. Un acquario di vite che pulsava di nascosto.

Pippa Bacca era una costola di quei paesaggi. Attivista, performer, di nobile e artistica famiglia, inghirlandata delle più varie definizioni. E incapace di farsele bastare. In quello stesso inverno, a 33 anni, Pippa decide di tessere un viaggio. Lascia Milano con direzione Gerusalemme. Calpestando solo terre ferite. Venezia, Gorizia, Lubiana, Belgrado, Sarajevo, una filigrana di città sfregiate dal rancore. Rispondendo alla guerra con un bagaglio da sposa. Opponendo tutto il peso del suo corredo di purezza.

Ha predisposto due abiti. Uno resterà a casa, appeso e intonso come un’idea, bianchissimo e indifferente. L’altro lo indosserà lungo il tragitto. Destinato a imbrattarsi, a raccontare nei danni l’umore dei giorni.

E ogni tappa verrà espugnata in autostop. Sceglie di fidarsi, di non sottrarsi a nessun passaggio. Di farsi traghettare a bordo di un’incognita.

L'abito bianco
L'abito bianco Di Nathalie Léger;

Léger racconta la storia dell'artista Pippa Bacca e della performance che la vede partire in autostop da Milano con indosso un abito da sposa, diretta a Gerusalemme, passando attraverso i paesi martoriati dalla guerra. Léger ripercorre le tappe di questo viaggio, riflette sul suo valore simbolico e sul suo tragico epilogo

Ma l’ultimo autista ha nel petto un’altra meta. Metri di buio oltre la mappa. La sverserà in un fosso come un ingombro illegale, a un pugno di svolte da Istanbul. Stuprata. Strangolata, recisa assieme al suo messaggio di pace. Oppure no?

Nathalie Léger ci immerge nelle sue impronte, snodando in parallelo il binario del suo rapporto con la madre, del provare a dimostrarle e a seminare il senso stesso del suo scrivere. Possono le parole cicatrizzare un torto? Rammendare un orlo che sanguina?

Cosa si può raccogliere dall’intervista di una madre che ha visto sua figlia partire radiante e tornare sepolta? Ed è possibile farlo? Come comportarsi davanti a quella donna irreparabile? E davanti alla propria madre, che le chiede riscatto attraverso il suo racconto? Testimoniare serve? Testimoniare salva?

Questo libro ci inchioda al suo interrogarsi. Inclemente e luminoso.

Fa domande imperdonabili. Ed offre spunti rari. Con una lingua che è incanto affilato. Che ci ricorda Annie Ernaux e Sophie Daull. E un’onestà a cui non si può sfuggire. 

…sotto l’enfasi assurda del suo gesto, voleva nascondere con delicatezza tra le pieghe del vestito la bontà che forgiava silenziosamente il suo cuore incerto. Questa follia, questo gesto esagerato, sentimentale, a detta di alcuni inadeguato, forse era un grande gesto, e un grande gesto non è una coalizione di intenzioni abilmente congetturate per servire la nostra assenza di pudore, un grande gesto (…) può essere un gesto mancato

Ecco che ci specchiamo. Ecco che siamo scalfiti, vulnerabili. Consegnati brutalmente alla fragilità del nostro agire. Sfarinati tra le maglie di tutto quello che vorremmo realizzare. Siamo costellazioni di storie infinitesimali, a volte invisibili, che spesso si interrompono in un minuscolo mentre. Viviamo cercando, scoppiando d’impotenza e tentativi evaporati. Nel ritratto di Nathalie Léger scivoliamo tutti noi, non solo Pippa Bacca. Qui sprofonda l’essenza di ogni missione. Viviamo cercando. E questo forse è tutto. E questo forse è già abbastanza.

Ma leggere aiuta a r-esistere. E resuscita la bellezza del viaggio. Ovunque possa portarci.
Grazie a questo libro, anche per me che non sapevo, Pippa Bacca è ancora lì, sul ciglio dell’asfalto.
Sarò io a fermarmi stavolta, ad offrirle un sedile. A sentirla gioire del suo progetto.

E a dirle che no, non è stato inutile.

 

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